In Italia il 29% ha un fondo pensione e il 65% teme di arrivare a fine carriera con un reddito inadeguato. Un europeo su due è preoccupato per il proprio futuro previdenziale. E in alcuni paesi, a cominciare dall’Italia, il secondo pilastro, quello della previdenza complementare, è troppo poco sviluppato.
È lo scenario che emerge dall’ultima rilevazione della ricerca su pensioni e risparmio a lungo termine realizzata dal gruppo olandese Ing, che opera nel risparmio gestito e nelle assicurazioni. La ricerca viene aggiornata ogni tre mesi e analizza le abitudini e la percezione dei risparmiatori nei confronti delle risorse finanziarie. È stata condotta dall’istituto di ricerca Tns Nipo su oltre 12mila intervistati in dodici paesi europei.
Idee
Il 52% dei lavoratori del Vecchio Continente teme di non avere un reddito adeguato al momento in cui smetterà di lavorare. La percentuale di quelli preoccupati sale in Spagna, Italia e Francia, rispettivamente al 73%, al 65% e al 64%. Nel nostro paese il sistema previdenziale obbligatorio è stato al centro negli ultimi anni di numerose riforme. L’ultima, la Monti-Fornero, ha spinto decisamente più in là l’asticella del pensionamento, e per il calcolo del vitalizio ha generalizzato l’utilizzo del metodo contributivo. Questo sistema, che si basa sui contributi versati durante l’intera vita lavorativa, comporta un calo nel tasso di sostituzione, cioè nel rapporto fra pensione e ultima retribuzione.
Perplessità
Secondo gli economisti di Ing, le ultime leggi in materia hanno accresciuto le perplessità degli italiani, soprattutto i più giovani, sulle proprie prospettive di vita dopo il pensionamento.
Nel nostro paese il 71% dei lavoratori si aspetta di staccare più tardi (in media a sessantacinque anni, contro i sessanta di chi si è già ritirato), e con un tenore di vita inferiore a quello degli attuali pensionati. Le apprensioni dei francesi sembrano invece più legate agli accesi dibattiti che intorno al sistema previdenziale si sono scatenati durante le ultime elezioni.
I timori sul futuro si riducono sensibilmente in alcuni paesi in via di sviluppo, come Romania, Turchia e Polonia, e in quelli più solidi, come Germania, Austria e Olanda. Quest’ultimo è anche quello dove è più sviluppata la previdenza integrativa: vi aderisce al sistema il 67% dei lavoratori, rispetto a una media continentale del 42%. In Italia, invece, la percentuale è decisamente più bassa, con il 29% d’iscritti, una quota in linea con quella della Spagna. Il nostro paese, inoltre, è quello caratterizzato dalla più bassa diffusione presso le donne, con solo il 24% di aderenti contro una media europea del 37%. E, in parallelo, fra le lavoratrici del nostro paese sale al 72% la percentuale di quante pensano che, al momento del pensionamento, non disporranno di entrate adeguate. La diffusione della previdenza integrativa si riduce drammaticamente fra i giovani, che saranno i più colpiti dal taglio delle prestazioni offerte dal sistema pubblico. Alla previdenza complementare, infatti, è iscritto solo il 16% dei lavoratori con meno di ventiquattro anni.
Futuro
Fra gli italiani, in compenso, continua a essere piuttosto diffuso il risparmio a lungo termine: il 60% dei cittadini (una percentuale leggermente superiore rispetto alla media europea), detiene strumenti di questo tipo. S’iscrivono poco ai fondi pensione, insomma, ma, in quattro casi su dieci, risparmiano in vista del momento in cui smetteranno di lavorare.
Anche su questo fronte, del resto, vi è una diffusa preoccupazione. In base alla ricerca Ing, infatti, l’Italia è il paese europeo in cui è più elevata la percentuale di quanti pensano che la propria situazione economica si è deteriorata negli ultimi tempi (il sondaggio è stato realizzato alla fine di giugno); e, sull’altro fronte, che peggiorerà ulteriormente nei prossimi mesi. È diffuso a livello europeo, inoltre, un approccio di cautela: i cittadini di tutti i paesi (con l’eccezione di polacchi e turchi) ritengono, infatti, che quello attuale non sia un periodo favorevole agli investimenti.
www.iomiassicuro.it – Corriere Economia – 17 settembre 2012