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Primario sospeso, inchiesta-lumaca. Ora chiede all’ospedale 800mila euro danni

Ambrosini non era a operare ma in Cina. Caso fermo 4 anni in Procura. Ora il medico vuole essere risarcito dall’ospedale. Il figlio Guido ha vinto in Cassazione

PADOVA — Lui è Antonio Ambrosini: un nome noto, un luminare della medicina. Per anni ha diretto, fino al novembre 2009, la clinica di Ginecologia e Ostetricia dell’Azienda ospedaliera e retto la cattedra di Scienze ginecologiche dell’Università di Padova. Una carriera sulla quale pende quella che l’ex primario ritiene una sospensione ingiusta, decisa dall’allora direttore generale Adriano Cestrone: lo aveva sollevato dall’incarico dopo una denuncia interna secondo cui Ambrosini si faceva segnare presente in sala parto quando invece si trovava a Shangai per un convegno. Denuncia finita pure in Procura e diventata il cardine di un fascicolo penale. Pochi i mesi di inattività, dal novembre 2008 fino al maggio 2009, ma sufficienti a causare «danni materiali e morali al professor Ambrosini», sostiene il suo legale, l’avvocato Cesare Iannatesta. Che giovedì 31 gennaio di fronte al giudice civile di Padova ha chiesto all’Azienda Ospedaliera un risarcimento di 804 mila euro.

Una vicenda che ha in quest’udienza solo la punta dell’iceberg: il processo civile si intreccia con l’inchiesta penale, dal momento che il professor Ambrosini era stato sospeso dopo essere stato indagato dal pm Orietta Canova nel novembre 2008, a vario titolo per falso e abuso d’ufficio assieme ad altri due camici bianchi della clinica, il professor Erich Cosmi e il dottor Gianfranco Fais, all’epoca responsabile (a contratto) delle sale parto. Il «caso Ambrosini» è esploso il 30 ottobre 2008, con una denuncia anonima arrivata sul tavolo di Cestrone e da qui in Procura. Nell’esposto si racconta come il 9 novembre 2007 il primario dalle 12.20 alle 13.16 fosse in sala operatoria per un «taglio cesareo complesso » in regime di intramoenia (libera professione). A dirlo sono le carte dell’ospedale —firmate da Cosmi—e il conto prestazioni sanitarie della cartella 64727. Da cui risulta che quel giorno Ambrosini fu il «primo operatore» e a lui spettava il 60% dei 7 mila euro di intervento. Ma quel 9 novembre 2007 il medico era a Shangai, come presidente della Sigo (Società italiana di ginecologia e ostetricia) per il secondo «Congresso Asia Pacific sulle controversie in ostetricia, ginecologia e infertilità».

Solo una svista? La Procura sostiene di no: sono altri i casi (il 19 ottobre 2007 e l’8 agosto 2008) in cui lo specialista veniva segnato come «primo operatore » senza figurare tra i chirurghi. Fatti che a novembre 2008 portarono alla sospensione del professore, reintegrato nel maggio 2009 dal Consiglio di Stato. Ora è in pensione. E arriviamo al 31 gennaio 2013. Terzo piano di palazzo di Giustizia. Nelle oltre 100 pagine di memoria, l’avvocato Iannatesta sostiene che quei mesi lontano dalla sala operatoria furono pesanti e ingiusti per il suo cliente. Perché era chiaro a tutti, afferma la difesa nel chiedere il risarcimento, come Ambrosini fosse a Shangai e avesse affidato la paziente al professor Cosmi. Che poi il suo nome comparisse sul Conto prestazioni alla voce «primo operatore/medico curante » questo, secondo il legale, era frutto di accordi tra i due camici bianchi. Mentre l’inchiesta penale dopo oltre quattro anni di indagini, tre richieste di proroghe, migliaia di atti e carte, sta solo ora arrivando a chiusura. Intanto ieri si è conclusa con il parere della Cassazione la vicenda del licenziamento del figlio dell’ex primario, Guido Ambrosini, che lavorava nel reparto del padre ed è stato messo alla porta dall’Azienda ospedaliera per non aver fatto pagare le fecondazioni in vitro a 400 pazienti, per un «buco» totale di 300 mila euro. Il medico era stato riammesso dal giudice del lavoro, ma lo stesso tribunale si era dichiarato incompatibile, rimettendo il giudizio al Tar. È stata la Cassazione a sbrogliare la matassa, dando ragione al giudice del lavoro di Padova e quindi formalmente Ambrosini junior è reintegrato al suo posto.

Nicola Munaro – Corriere del Veneto – 6 febbraio 2013

 

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