Paolo Mastrolilli. Con il voto decisivo del senatore McCain, tornato apposta in aula dopo l’operazione per un tumore al cervello, e l’intervento del vice presidente Pence per rompere la parità, i repubblicani sono riusciti a cominciare il dibattito in Senato sulla riforma della sanità. Un primo successo per Trump, che intanto medita di sostituire il ministro della Giustizia Sessions, colpevole di non averlo protetto dall’inchiesta sul «Russiagate».
Dopo i fallimenti delle settimane scorse, il leader della maggioranza McConnell ha presentato ieri la semplice proposta di cominciare il dibattito sulla riforma in Senato. Un primo passo fondamentale per avviare la revoca e la sostituzione di Obamacare, che però non assicura il successo finale. Due repubblicani, Collins e Murkovski, si sono opposti anche a questa iniziativa, e solo grazie al ritorno in aula di McCain il Gop è riuscito ad ottenere i 50 consensi necessari a pareggiare i 48 no dei democratici. A quel punto Pence ha esercitato il potere del vice presidente di votare in Senato per rompere la parità, garantendo il passaggio della proposta. Trump ha celebrato il risultato come «un successo che ci consentirà di dare agli americani il sistema sanitario di cui hanno bisogno», ma in realtà è solo il primo passo. Ora il merito della riforma dovrà essere discusso, partendo da una maggioranza di un solo voto a favore. Se i repubblicani perderanno un altro consenso, di un senatore che magari era favorevole ad avviare il dibattito, ma contrario alla sua sostanza, la legge verrà bloccata. Alcuni di loro, come Paul e Heller, sono al momento su questa posizione. La battaglia sulla sostanza della riforma dunque comincia ora.
Il momento più drammatico del voto è stato quando McCain ha preso la parola, con la cicatrice dell’operazione per rimuovere il tumore al cervello ancora visibile sopra l’occhio sinistro. Durante la campagna elettorale Trump aveva offeso l’eroe del Vietnam: «Si è lasciato catturare. Io preferisco chi non si è fatto prendere». Il senatore dell’Arizona però ha messo da parte l’animosità, e pur avendo criticato il processo con cui è stata gestita la riforma, è venuto a votare per consentire il dibattito: «Smettiamola – ha detto – di ascoltare chi punta solo a dividerci, e cerchiamo di servire il popolo americano».
Trump, che ieri ha accusato Obama di aver aperto le porte della Siria a Russia, Iran e Isis, non intervenendo dopo l’attacco con le armi chimiche del 2013, è tornato ancora ad attaccare il ministro della Giustizia Sessions: «Mi ha molto deluso. Se pensava di ricusarsi dall’inchiesta sulla Russia doveva dirmelo». Il presidente non ha detto se vuole le sue dimissioni, ma ha chiesto che diventi «molto più duro contro le soffiate» sull’indagine. Secondo il Washington Post si prepara a sostituirlo, con Rudy Giuliani o Ted Cruz. Ieri intanto il genero Jared Kushner è stato sentito dalla Commissione Intelligence della Camera, mentre quella al Senato ha interrogato l’ex manager della campagna elettorale Manafort, che oggi comparirà davanti alla Commissione giustizia.
La Stampa – 26 luglio 2017