Le modalità. L’opzione numero uno resta il collocamento accelerato per investitori istituzionali In pole, oltre agli italiani, americani e fondi sovrani. Il governo accende ufficialmente i motori per la cessione di ulteriori quote di Enel ed Eni con l’obiettivo di far ripartire il piano di privatizzazioni e centrare così i 10 miliardi di euro di proventi per quest’anno messi nero su bianco nel Documento di economia e finanza.
Ieri il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha presieduto una riunione, a cui ha preso parte anche il capo della segreteria tecnica del Mef, Fabrizio Pagani, in modo da accelerare il percorso su cui sono puntati i fari di Bruxelles.
Il piatto forte, come detto, è il ridimensionamento della presenza dello Stato nei due “gioielli” di famiglia, Enel ed Eni, di cui saranno ceduti, rispettivamente, il 5% e il 4,34% ancora in mano al Tesoro (il restante 25,76% fa capo a Cdp). Secondo la tabella di marcia messa a punto ieri dal vertice all’Economia, le quote dovrebbero arrivare sul mercato tra la fine di ottobre e gli inizi di dicembre. Ovviamente non appaiate anche perché entrambe le operazioni andranno adeguatamente supportate per assicurare il massimo ritorno possibile. Ai piani alti di Via XX Settembre si respira un cauto ottimismo: Piazza Affari è tornata a virare in positivo negli ultimi giorni e questo lascia ben presagire per il futuro anche se un occhio resta puntato sugli sviluppi internazionali che potrebbero far girare i mercati.
Dalle due cessioni il governo conta di ricavare nonmenodi5 miliardi di euro. Agli attuali corsi di Borsa, un 5% dell’Enel – che ha ripreso a salire sul Ftse Mib grazie all’accelerazione al piano di dismissioni voluta dal nuovo numero uno, Francesco Starace – vale 2-2,5 miliardi di euro, mentre la vendita del 4,34% della quota detenuta in Eni potrebbe portare nelle casse dello Stato circa 3 miliardi. Un gruzzoletto che, unito ai 3 miliardi di euro assicurati dal rimborsoanticipato dei Monti bondsottoscritti dalTesoro a favore del Monte dei Paschi di Siena, consentirebbero al governo di avvicinarsi fortemente al traguardo individuato nel Def. Nella riunione di ieri, poi, si è anche deciso di affiancare a queste cessioni, entro la fine dell’anno, il trasferimento della quota detenuta in STMicroelectronics (13,8%) che sarebbe girata al Fondo strategico italiano, il braccio operativo della Cdp, per un incasso valutato sui 700-800 milioni di euro. Mentre sarebbero ormai destinate a slittare al 2015 le Ipo di Poste, Sace ed Enave nonsarebbe per ora alle viste nemmeno una ulteriore discesa dello Stato nel capitale di Finmeccanica(il Tesoro è al 30,2%), dove il neo amministratore delegato Mauro Moretti sta portando avanti un piano di ristrutturazione che servirà a rimettere definitivamente in sesto il gruppo di Piazza Monte Grappa.
Tornando invece al tassello clou, l’Economia non ha ancora proceduto formalmente ad affidare i mandati alle banche d’affari, ma la scelta dovrebbe cadere sugli istituti che lavorano da tempo al fianco del ministero. Quanto alla modalità con cui verranno cedute, secondo quanto emerso dal confronto di ieri, l’opzione numero uno èquella di un accelerated bookbuilding, una delle strade scelte anche dall’Eni ai tempi dello scorporo di Snam e dalla stessa Cassa nella vendita dei titoli eccedenti il 30% del Cane a sei zampe, messa in campo proprio per recuperare le risorse necessarie a rilevare il 30% della spa dei gasdotti dall’Eni. Uncollocamento che sarà destinato agli investitori istituzionali: non solo gli italiani, maanche gli americani – che Padoan ha avuto modo di incontrare nella sua ultima missione a Washington – e i soliti fondi sovrani che non hanno mai nascosto l’interesse a salire nel capitale di alcune “big” italiane. Senza dimenticare i cinesi che hanno acceso da tempo i riflettori sull’equity della penisola: dalla People’s Bank of China, già presente in Eni ed Enel, a State Grid Corporation of China, che ha appena rilevato il 35% di Cdp Reti e vuole fare altro shopping in Europa.
Il governo intende però anche lanciare un segnale forte, già nello sblocca-Italia che arriverà domani al Cdm, sul fronte delle partecipate degli enti locali mappate dal commissario della spending review, Carlo Cottarelli. Con molta probabilità, infatti, nel decreto dovrebbe entrare una norma che consente ai Comuni di usare i proventi da dismissioni fuori dal Patto di stabilità. Una mossa che potrebbe sbloccare, già entro l’anno, alcune partite da tempo ferme al palo comel’annunciata privatizzazione, a Torino, della Gtt, la società di trasporto pubblico. «Quello delle partecipate degli enti locali – spiega al Sole 24 Ore, Andrea Mazziotti, capogruppo di Scelta Civica alla Camera – è untemamolto difficile, ma Renzi deve scardinarlo scontentando la parte del Pd che sostiene questo fronte». E proprio Scsi èfatta portatrice di una proposta di legge che punta a ottenere significativi risparmi di spesa dalla razionalizzazione delle ex municipalizzate e che è già stata inviata al premier e al ministro Padoan. L’obiettivo? Fare in modoche alcunedelle misure suggerite, a cominciare dall’obbligo di dismettere le partecipazioni in società non quotate inferiori al 10%, trovino spazio già nello sblocca-Italia.
Il Sole 24 Ore – 28 agosto 2014