Via dal testo di riforma delle professioni qualsiasi riferimento a registri o elenchi tenuti da amministrazioni o enti pubblici. Perché il riordino degli ordinamenti riguarda solo “ordini, collegi o albi”.
Parte da questa rischiesta di puntualizzazione la lunga disamina del Consiglio di stato sullo Schema di Dpr di “Riforma degli ordinamenti professionali” (in attuazione dell’articolo 3, comma 5, del decreto-legge 13 agosto 2011 n. 138, convertito dalla legge 14 settembre 2011 n. 148) da oggi, tra l’altro, al centro del dibattito in Commissione giusitizia della Camera.
Un testo che seppur licenziato con un parere positivo non è andato troppo giù ai giudici di Palazzo Spada che indicano non pochi spunti di modifica. Tra i primi c’è quel passaggio tanto contestato dagli stessi ordini che ha fatto scomparire rispetto alla norma originaria la definizione di professione intellettuale a favore di una “eccessivamente ampia” denominazione di professione regolamentata. Ecco perché, dice la giustizia amministrativa, non solo occorre eliminare il riferimento a registri ed elenchi comunque tenuti da amministrazioni o enti pubblici, ma va anche valutato “come meglio precisare la nozione di profesisone regolamentata”.
Uno dei passaggi interessato dalle maggiori richieste di modifica è la disciplina sul tirocinio. Innanzitutto, dice il Cds, lo schema va corretto specificando che il termine di 18 mesi sia massimo altrimenti, “anche in contrasto con la norma primaria, diventerebbe una durata anche minima”. Inoltre, la prevista obbligatorietà dello stesso per tutte le professioni (non contenuta invece nella norma primaria) va verificata attentamente “per evitare un ritardo di accesso al mondo del lavoro”. E non solo, perché sempre in materia di tirocinio, sarebbe opportuno eliminare il principio di incompatibilità con qualunque rapporto di impiego pubblico e rendere i corsi di formazione per i tirocinanti facoltativi o alternativi alla pratica.
Per quanto riguarda, poi, l’organizzazione di tali corsi, così come quelli per la formazione continua dei professionisti (che non dovranno essere esclusivo appannaggio di ordini) che lo schema affida ai ministeri vigilanti, il Cds rispolvera il principio della gerarchia delle fonti: in sostanza, “non è consentito che un regolamento approvato con Dpr demandi, in assenza di autorizzazione della legge, alcuni aspetti ad un altro regolamento di diverso tipo”. Ecco perché il passaggio va riformulato magari attraverso il rinvio ad un altro Dpr.
Infine un altro tema caldo è quello del disciplinare: la norma originaria parlava di separazione tra funzioni amministrative e funzioni disciplinari, per garantire terzietà nel giudizio. Il dpr prevede invece che a giudicare un iscritto siano i consigli di disciplina vicini territorialmente ma, soprattutto, esclude da queste novità le professioni i cui ordinamenti sono nati prima della Costituzione. In questo senso, dice il Cds, seppure tale “tesi può essere condivisa” questo non esclude che anche nei consigli che hanno natura giurisdizionale questa incompatibilità può essere prevista.
ItaliaOggi – 12 luglio 2012