La politica delle professioni degli ultimi dieci anni è un fallimento completo. I governi che si sono succediti hanno infatti annunciato alle professioni, in parte anche approvato, una serie di riforme di un certo spessore, ma nessuna, dicasi nessuna, di esse è arrivata in porto. Nella maggior parte dei casi si sono perse nell’indifferenza delle commissioni parlamentari, come il ddl sull’esercizio abusivo delle professioni o il riordino della disciplina delle professioni sanitarie.
Altre volte ci ha pensato la burocrazia ministeriale a scavare la fossa a riforme approvate dal parlamento: è il caso del testo unico sulla disciplina delle professioni, evidentemente ritenuto troppo impegnativo da realizzare e perciò lasciato cadere nel dimenticatoio; oppure del regime fiscale delle società tra professionisti, la cui mancanza inibisce di fatto la possibilità di aprire una società interprofessionale; così pure il provvedimento che dovrebbe definire l’assicurazione dei medici, obbligatoria dal 15 agosto 2014, non si è mai visto, e in mancanza di queste regole i medici che vogliono rispettare l’obbligo assicurativo, sono lasciati a brancolare nel buio ; ci si chiede come sia possibile che dopo dieci anni non si sia riusciti a definire lo status giuridico di restauratore; ancora, il decreto per l’equipollenza dei titoli di commercialista e revisore legale è stato annunciato come pronto già ad aprile di quest’anno, ma poi se ne sono perse le tracce.
Soltanto quando le riforme sono contro le professioni, riescono a diventare operative. Chissà perché. Il caso più clamoroso è l’abolizione delle tariffe professionali: il divieto è stato varato con il decreto Visco-Bersani del 2006 e dopo alterne e complesse vicende di fatto rinnegato dallo stesso legislatore che nel 2013 ha reintrodotto le tariffe sotto mentite spoglie (parametri). Ma è quando si introducono nuovi obblighi, spesso non retribuiti, che il legislatore italiano riscopre tutta la sua efficacia luciferina. L’anagrafe tributaria ha la necessità di avere i dati fiscali già ordinati, in un data base? Semplice, basta chiedere ai professionisti di inviare le dichiarazione dei redditi secondo specifiche definiti dall’Agenzia delle entrate in modo che siano loro stessi a riempire di contenuti questa banca dati. C’è bisogno di incrementare la lotta al riciclaggio? Basta imporre ai professionisti l’obbligo di controllare, schedare, denunciare i propri clienti, poco importa se questo innesca un conflitto di interessi insanabile: se il professionista non adempi, pagherà multe salatissime. Il colmo però lo si è toccato con l’invio del 730 precompilato, previsto per il 2015. L’agenzia delle entrate manderà un modello precompilato che, per sua stessa ammissione, sarà incompleto nell’85% dei casi. Ai professionisti il compito di completarlo. Ma se i dati che inseriranno, o quelli già forniti dalle entrate risulteranno errati (magari per un errore o una dimenticanza del cliente o della stessa agenzia) a pagare saranno i professionisti stessi. Robe da matti.
Va all’articolo di ItaliaOggi Un cantiere aperto per non riformare mai nulla
15 dicembre 2014