E’ da sempre uno dei nodi delicati della Politica Agricola Comune: l’UE importa infatti il 66% di proteine vegetali, e solo il 3% della sua superficie agricola è interessato nella produzione di leguminose. Questo, in ragione di precisi accordi commerciali del 1992 con gli USA, per permettere al Vecchio e al Nuovo Continente di seguire gli orientamenti produttivi che garantivano a ciascuno di massimizzare la propria efficienza.
La carenza di proteine vegetali per l’allevamento UE è stata sottolineata recentemente dal Parlamento Europeo, con una risoluzione di Josè Bovè (Filiera di approvvigionamento dei prodotti agricoli) focalizzata sui costi crescenti degli input agricoli. Nella sua relazione Bovè chiedeva alla Commissione di pensare seriamente a misure per rendere presto l’Europa più autosufficiente dal punto di vista delle proteine vegetali, necessarie per l’alimentazione animale, ma ammoniva nello stesso tempo circa il rischio di dismettere colture più efficienti della soia. E chiedeva al Parlamento e al Consiglio di illustrare una relazione di impatto per aumentare la produzione di colture proteiche.
La discussione ha implicazioni importanti non solo per la food security e l’approvvigionamento di derrate alimentari o input agricoli, ma anche per la food safety: se è vero che in occasione del 10° anniversario della nascita dell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA), la direttrice della comunicazione, Anne Laure Gassin, ha sottolineato che il problema europeo degli OGM nasca dalla necessità di importare proteine vegetali, non essendo l’Europa autosufficiente.
L’anno scorso vi era stata una presentazione da parte del Parlamento Europeo di un progetto di relazione.
Proprio a Brussels, presso la sede del Copa Cogeca, si è tenuto i giorni scorso un seminario sulle colture proteiche. Vi sono alcune colture che sembrano promettere bene circa la capacità di sostituire la soia sudamericana, in particolare con sottoprodotti cerealicoli ad alto contenuto proteico, scarti per la produzione dell’etanolo (tecnicamente noti come “DDGS”, e dotati di buona efficienza sostitutiva rispetto alle tradizionali proteine vegetali). Ma il problema è la profittabilità di altri cereali, che sembra più elevata. Charlotte Sode della Commissione Europea ha illustrato come dai primi anni’90 del secolo scorso ad oggi, la coltivazione di proteine vegetali in Europa sia costantemente calata passando da circa 1,8 milioni di ettari a 900 milioni, e da 6 milioni di tonnellate di resa a 2 milioni di tonnellate.
Ma l’aspetto immediatamente rilevato è la presenza di rese decrescenti, per piselli ma non per fagioli, con rendimenti del suolo che si sono ridotti per gli uni e aumentati per gli altri: con un effetto netto ancora negativo nell’Europa a 27.
La Commissione Europea nel 2003 ha introdotto uno schema di pagamento per le colture proteiche atto a bilanciare la non-autosufficienza: con un pagamento addizionale rispetto ai cereali in media di 55,7 euro /ettaro, contro le 9,5 precedenti. Questo doveva costituire un incentivo per la coltivazione di leguminose. La Francia è rimasta il produttore principale, assieme al Regno Unito, e la posizione di quest’ultimo si è rafforzata nel corso degli ultimi anni, con Spagna e Germania, mentre la Francia ha perso capacità produttiva.
sicurezzaalimentare.it – 4 dicembre 2012