Cartolina dal Veneto: dagli ospedali alle Province, dai tribunali ai piccoli comuni, dalle aree di confine alle infrastrutture, la revisione di spesa non risparmia la regione più forte del Nordest.
E torna, più forte che prima, con la sindrome di «Calimero» anche la voglia di andarsene da una regione troppo «ordinaria» per competere con la Carinzia e la Baviera. Stanno per ripartire le spinte secessionistiche che, da Lamon a Cortina, da Cinto Caomaggiore a Meduna, ambiscono ad andare col Trentino Alto Adige o col Friuli Venezia Giulia. La scure del governo Monti sta letteralmente sfasciando il Veneto, che da solo garantisce il 10 per cento del Pil nazionale, 150 miliardi di euro, di cui metà lasciati all’Erario. Non è solo il prezzo del mancato federalismo. Non è solo il rompete le righe in corso nel Pdl post-Berlusconi. Non è solo la crisi della Lega Nord dopo il Bossi-gate. Non è solo mancanza di leader nazionali (dopo la parentesi dei tre ministri veneti Sacconi, Brunetta e Galan la regione è praticamente scomparsa dalla carta geo-politica del paese). Ma è certamente tutto questo insieme. «Il governo sta infilando due dita nell’occhio del Veneto» s’inalbera il governatore Luca Zaia, che accusando di «cinismo e arroganza» coglie quel sentimento di ostilità verso il governo dei professori che sta dilagando in un territorio privato improvvisamente dei suoi punti di riferimento tradizionali. «Il governo sta sbagliando tutto» conferma l’altro dioscuro della Lega, Flavio Tosi, che pure aveva dato credito al governo della Bocconi. Per il governo dei professori il Veneto non è altro che un’espressione geografica: e dunque via i mini-tribunali, stop alle province più piccole, soppresso l’organismo dei piccoli comuni di confine. E sembra solo l’inizio, perchè su Prefetture, Camere di commercio, Agenzie del Territorio e delle Entrate il dossier è sul tavolo del premier. Resteranno i piccoli comuni, ma solo a condizione che uniscano uffici, segretari comunali, vigili urbani e servizi sociali. Insomma, un disastro per chi aveva fatto della «virtuosità» dei suoi conti e della sua gestione il suo atout. Dunque, si chiede più di qualcuno, a cosa è servito? «Semplicemente a nulla» conferma un manager regionale della sanità. «In Italia hanno sempre avuto ragione le cicale, per questo siamo a questo punto».
E il Veneto felix? Quello dei record europei? Una fabbrica su tre sta attingendo agli ammortizzatori sociali, la metà degli imprenditori si sta chiedendo se vale la pena continuare a credere al paese. Settantacinquemila veneti sono disoccupati, un giovane su tre può guardare il soffitto perchè non ha un posto di lavoro. Protestano, i veneti: ma timidamente. A Bassano per la soppressione del piccolo tribunale, a Isola della Scala per la chiusura del piccolo ospedale, a Rovigo per la morte della piccola provincia. Ma anche la protesta è «piccola». Gli imprenditori, cui è noto il pragmatismo ma anche l’infatuazione per l’uomo forte, intanto chiamano il ministro Corrado Passera per le infrastrutture e Corrado Clini per il futuro di Porto Marghera. Cappello in mano, dicono: «Lasciateci lavorare, liberateci dalla burocrazia». Miracoli, insomma. La spending review obbliga nei prossimi mesi a un percorso istituzionale tutt’altro che agevole: «La situazione che si sta creando è di autentica confusione istituzionale – ragiona preoccupato l’assessore regionale al bilancio, Roberto Ciambetti –. Il rischio vero è di avviare un processo di revisione di enti, attribuzioni, competenze che rischia, magari, di essere avviato e poi interrotto con il prossimo governo. È una situazione di ingorgo istituzionale davvero incredibile. Se è in corso un disfacimento del Veneto? La situazione è un po’ di grave: ho sentito i miei colleghi di Toscana, Lombardia e Piemonte e stanno vivendo tutti nella stessa situazione. Il guaio –aggiunge – è che il governo precedente aveva molti difetti, ma almeno dialogava. I professori sembrano vivere in un altro pianeta: decidono nelle stanze romane e non si confrontano con nessuno. Sui comuni di confine il risultato è paradossale, perchè il governo ottiene l’esatto contrario dello scopo per il quale questo organismo è stato fondato. Era nato proprio per calmierare le spinte centrifughe, ora questi saranno costretti ad andare a chiedere i soldi a Dellai e Durnwalder. Quanto pensate che ci mettano a ripartire le spinte per andarsene?»
Il Mattino di Padova – 11 luglio 2012