Se il consiglio regionale dovesse approvare il piano sociosanitario, dopo una settimana di passione che ha spaccato la maggioranza, il ministero della Salute potrebbe sottoporlo a «controllo ufficiale» e poi impugnarlo, perchè non rispettoso della Costituzione né dello statuto veneto. Lo annuncia il capo dell’ufficio legislativo dello stesso dicastero, in un dossier nel quale esprime «parere di legittimità costituzionale» sulle disposizioni già oggetto di emendamenti presentati dall’assessore alla Sanità, il leghista Luca Coletto, e bocciati dall’assemblea di Palazzo Ferro Fini, con il Pdl in testa. Nel mirino gli articoli 1, 8 e 9 di quella che dopo 16 anni dovrebbe diventare la nuova legge di settore.
Ovvero: la nomina del direttore generale di Sanità e Sociale spostata dalla giunta (che può solo proporlo con il governatore) al consiglio; il parere obbligatorio e vincolante della V commissione su schede ospedaliere e territoriali.
Sul primo punto, scrive il ministero: «Le funzioni conferite sembrano qualificare il direttore generale alla Sanità e al Sociale come un organo amministrativo tipicamente esecutivo, che pertanto dovrebbe rientrare tra gli organi della giunta regionale. Non può essere nominato dal consiglio regionale ma dalla giunta, cui di conseguenza dovrebbe rispondere ». E ancora, parlando del piano sociosanitario, avverte: «La legge che interviene in materia di organizzazione dovrebbe rispettare sia la Costituzione che lo Statuto e quindi il richiamato riparto di funzioni e competenze tra giunta e consiglio». Invece «l’alterazione del suddetto riparto » si riscontra anche in merito al parere obbligatorio e vincolante della V commissione sulle schede, perchè «tale disposizione appare lesiva delle prerogative della giunta. L’approvazione delle schede costituisce un atto esecutivo, quindi dovrebbe spettare alla giunta».
Mica finita. Il dossier si spinge oltre le beghe nostrane — ovvero l’ennesimo duello per il controllo della sanità tra Luca Zaia, favorevole all’approvazione, e Flavio Tosi, probabile ispiratore degli emendamenti— e trova altri due articoli a rischio illegittimità: l’1 e il 14. Il primo, impartendo al piano durata quinquennale, «si pone in contrasto con i principi della normativa statale», secondo la quale «le regioni provvedono all’attuazione del Servizio sanitario nazionale in base ai piani sanitari triennali, coincidenti con il triennio del piano sanitario nazionale». E quindi «il disallineamento tra la durata del piano nazionale e quella del piano regionale potrebbe incidere sulla coerenza complessiva della programmazione». L’articolo 14 sulla trasparenza impone invece l’obbligo alle strutture sanitarie destinatarie di pubblici finanziamenti di rendere noti on line i bilanci annuali per le parti inerenti gli stessi. Pena una sanzione compresa tra il 10% e il 20% di quanto percepito dal pubblico.
«Ci si riserva di svolgere sul punto un approfondimento, evidenziando che presenta profili problematici — si legge nel report —. La sanzione potrebbe avere conseguenze sull’erogazione dei servizi e quindi incidere sulla materia della tutela della salute», nella parte di competenza legislativa esclusiva dello Stato. Il capo del legislativo «ravvisa inoltre una spoporzione tra la violazione commessa e l’entità della sanzione, con potenziale lesione del diritto dei cittadini alla qualità delle prestazioni». Una bella rogna, che d’altro canto conferma il parere emesso il 29 maggio dall’avvocato della Regione, Patrizia Petralia: «I poteri dell’organo assembleare non sono tali da prevaricare su ruolo e poteri della giunta regionale e del suo presidente. Il contrasto tra il piano e lo statuto può essere censurato davanti alla Corte costituzionale». Insomma, la nuova legge rischia di essere approvata e poi bloccata subito, congelando così anche le schede ospedaliere e territoriali, che dovrebbero ridisegnare la rete dell’offerta. Tagli e chiusure (di ospedali) inclusi.
Corriere del Veneto – 20 giugno 2012