Nella sentenza n.12358 del 3 giugno 2014, la Cassazione ha chiarito che, nell’ambito del pubblico impiego, le mansioni aggiuntive affidate al lavoratore, se compatibili con la sua qualifica contrattuale, non comportano il diritto ad un ulteriore compenso.
Nel caso di specie, una dipendente del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, inquadrata come “capotecnico”, aveva chiamato in giudizio l’Amministrazione affinché le venisse riconosciuto il diritto al maggiore compenso per lo svolgimento delle mansioni di coordinatore per la sicurezza e l’esecuzione dei lavori (1), quantificato secondo quanto previsto dalle tariffe professionali, ovvero secondo altro criterio di giustizia in applicazione del principio di proporzionalità della retribuzione alla quantità e qualità del lavoro svolto, sancito dall’art.36 della Costituzione.
Sia il Tribunale di primo grado che la Corte di Appello avevano però rigettato la domanda della lavoratrice.
In particolare, la Corte del merito aveva rilevato l’inapplicabilità al caso di specie del disposto di cui all’art.52 del D.Lgs n.165/2001, in quanto la pretesa non configurava lo svolgimento di mansioni superiori.
Parimenti, il giudice dell’appello aveva sottolineato l’inapplicabilità dell’art.36 della Costituzione, in quanto il ricorso della dipendente era risultato privo di qualsiasi allegazione nel merito.
Avverso questa sentenza la dipendente aveva adito la Cassazione, chiedendo alla Suprema Corte se l’articolo 52 del D.Lgs. n.165/2001 risultasse applicabile anche all’ipotesi di svolgimento di mansioni aggiuntive.
Nel rilevare l’infondatezza di tale censura, gli ermellini hanno ricordato che la norma richiamata dal ricorrente risponde all’esigenza di assicurare, in caso di svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica rivestita, una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato, in ossequio al principio di cui all’art. 36 della Costituzione (2).
Riferendosi esclusivamente alla ipotesi di esercizio di mansioni superiori, la disposizione in esame presuppone che il trattamento economico corrisposto al lavoratore sia inadeguato, in quanto parametrato all’attività corrispondente alla minore qualifica.
Di conseguenza, è palese l’inapplicabilità della norma alla diversa ipotesi, quale quella di specie, in cui l’attività svolta sia corrispondente alla qualifica contrattuale e le eventuali mansioni aggiuntive siano compatibili con le funzioni proprie del profilo professionale rivestito dal dipendente.
Confermando quanto disposto nella pronuncia del merito, la Suprema Corte ha concluso con il rigetto del ricorso.
Valerio Pollastrini – http://valeriopollastrini.blogspot.it/ – 7 luglio 2014