Favorire le uscite di dipendenti pubblici, anche con il ricorso a prepensionamenti, con l’obiettivo di «ringiovanire la pubblica amministrazione»: è il piano annunciato dal ministro della Pa, Marianna Madia, che intende ricorrere ad una «sana mobilità obbligatoria», per spostare il personale dagli uffici in cui è in sovrannumero a quelli in cui si registrano carenze di organico, nel «rispetto dei diritti del lavoratore, laddove non ci siano degli ostacoli burocratici». Questi due strumenti saranno attivati per il personale in eccedenza, il ministro considera i ventilati 85mila esuberi «un numero e una terminologia assolutamente sbagliati e distorti anche rispetto al piano Cottarelli». Sono temi che saranno oggetto di un «progetto complessivo sulla Pa» che, ha spiegato il ministro Madia, si occuperà «dell’accesso, della formazione e degli incarichi a termine».
E vista la situazione del Paese, «ci potrà essere un contributo di solidarietà che non riguardi solo i dirigenti, ma che deve partire dalla politica». Base di partenza per l’azione di governo la proposta del presidente della commissione Bilancio della Camera, Francesco Boccia (Pd) di un taglio del 6% nel 2014-2016agli stipendi oltre i 60mila euro l’anno, del 7% per quelli oltre i 70mila euro, e dell’8% oltre gli 80mila. L’ipotesi che sta prendendo quota è di inasprire il taglio sopra gli 80mila euro, per salvaguardare gli stipendi sotto questa soglia. In quest’ottica il governo starebbe valutando, anche su indicazione di Boccia, la possibilità di comprendere il personale di altri enti, dall’Istat alla Banca d’Italia, e di far scattare un taglio secco del 10% sulle consulenze.
Tornando al ministro Madia, non intende partecipare alla polemica sul compenso dell’ad delle Fs Moretti, e sul tetto agli stipendi dei manager precisa: «Ho appena firmato una circolare dove viene esplicitato che nel tetto fissato, debbano essere cumulati anche tutti i trattamenti pensionistici, compresi i vitalizi». E conferma che al riguardo «ci sarà una proposta» delGoverno. Con i sindacati il ministro è disponibile a dialogare, ma non secondo i rituali: «Non è detto che ci saranno dei tavoli, perché abbiamo tempi molto stretti». Critica la leader della Cgil, Susanna Camusso: «È in corso una gara tra ministri per spiegare che dal sindacato si accoglie al massimo consigli, ma non una discussione». Polemico anche il numero uno della Cisl, Raffaele Bonanni: «Se il governo non vuole confrontarsi con le parti sociali, ce ne faremo una ragione. Non ci strapperemo le vesti».
Il riordino della Pa desta preoccupazione nel sindacato anche perché, come ha ricordato il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, «il 2014 sarà ancora un anno di grande sofferenza, indipendentemente dalle valutazioni sul Pil, la dinamica dell’occupazione continuerà ad essere molto pesante come immancabile coda della crisi». Tuttavia ci saranno anche «dinamiche di ripartenza di alcuni segmenti, il settore metalmeccanico si sta riprendendo». Intervenuto ieri in audizione alla commissione Lavoro dove è iniziato l’iter di conversione del Dl occupazione – relatore Carlo Dell’Aringa (Pd), il 4 aprile è il termine per gli emendamenti – Poletti ha sottolineato che la novità sui contratti a termine(il contratto acausale sale a 36 mesi, potràavere8proroghe invece di una) «creerà occupazione» perché «alla fine l’impresa, se sarà contenta, stabilizzerà il lavoratore. Se invece ci sono sei persone diverse con un contratto di sei mesi è più difficile che un lavoratore resti in azienda». Le misure del Dl hanno ottenuto il consenso del presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi. «Credo sia un fatto positivo se ci sono apprezzamenti per il lavoro che facciamo», ha commentato Poletti. Che ha confermato un approccio pragmatico: «Non ho nessuna teoria del lavoro, credo che si debbano esaminare con puntualità i fatti, fare delle scelte, monitorarle e se esce una conferma si prosegue, altrimenti si cambia». Sul taglio del cuneo fiscale, Poletti ha confermato che «la scelta per l’aumento di 80 euro in busta paga resta quella annunciata da Renzi, ovvero un intervento sull’Irpef e sulle detrazioni da lavoro dipendente». Il ministro ha confermato l’allarme sulle risorse per la cassa in deroga: «Manca circa un miliardo, se guardiamo alle dinamiche dell’altro anno. Occorre avere garanzie di copertura altrimenti rischiamo problemi sociali».
Dirigenza pubblica. Tarare le retribuzioni in base ai risultati e alla responsabilità
Il dibattito sulla riforma della dirigenza pubblica sta ruotando in questi giorni sulla questione degli stipendi, che va senz’altro posta. Ma perché non sia solo uno sfogo alla demagogia deve tener conto di fattori importanti dello svolgimento della funzione dirigenziale, quali sono le responsabilità, i risultati e, quindi, il merito. Anche perché uno degli obiettivi primari della riforma, al di là dei risparmi, deve essere la qualità dei servizi ai cittadini, che va garantita e migliorata. Oggi è giusto che si chieda alla pubblica amministrazione di essere più efficiente, ma come si fa ad ottenerlo se invece di creare sana competitività si determina un livellamento verso il basso di tutte le retribuzioni? Occorre, invece, differenziare in ragione delle responsabilità e dei risultati. È da qui che bisogna partire, distinguendo tra dirigenti che producono risultati e dirigenti che non lo fanno.
La struttura della retribuzione lo permette, perché accanto alle voci fisse (stipendio tabellare e posizione di parte fissa) ci sono la posizione di parte variabile e l’indennità di risultato.
Esaminiamo in concreto cosa è accaduto nel sistema retributivo dei dirigenti dei ministeri. Per i dirigenti di seconda fascia il Ccnl per il secondo biennio economico 2000-2001 del personale dirigente del comparto Dirigenza area I ha previsto all’articolo 4 che le amministrazioni determinino (articolandoli in tre fasce) i valori economici della retribuzione di posizione delle funzioni dirigenziali, tenendo conto di parametri connessi alla collocazione nella struttura, alla complessità organizzativa, alle responsabilità gestionali interne ed esterne, all’interno dei parametri indicati dallo stesso Ccnl. Analogo procedimento, invece, non è stato seguito per gli incarichi dirigenziali di prima fascia, la cui retribuzione di posizione è identica per tutti, a prescindere dal grado di responsabilità e dalle risorse umane e finanziarie assegnate.
Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: direttori generali a capo di strutture complesse per dimensioni, funzioni e connesse responsabilità percepiscono lo stesso trattamento economico di un dirigente di prima fascia con incarico di studio. Questo se circoscriviamo l’analisi all’ambito di uno stesso ministero, ma se confrontiamo amministrazioni con differenti livelli di retribuzione il paradosso diventa un’ingiustizia sociale.
Ben venga allora la proposta, già presentata sul Sole-24 Ore del 21 febbraio 2014 e riproposta ieri da Tabellini e Valotti, volta al superamento della distinzione tra la prima e la seconda fascia; ma ove ciò non avvenga o richieda tempi più lunghi, perché intanto non intervenire con una norma di rango primario che imponga anche per la dirigenza di prima fascia la distinzione di livelli retributivi della posizione di parte variabile? E perché ancora non aumentare la percentuale di retribuzione collegata ai risultati?
In caso contrario a beneficiare non saranno i migliori, anzi questi verranno solo demotivati, a danno dei cittadini. 7 La struttura della retribuzione, accanto alle voci fisse (stipendio tabellare e posizione di parte fissa) pone la posizione di parte variabile e l’indennità di risultato.
Per avere una pubblica amministrazione più efficiente bisognerebbe creare più competitività nelle retribuzioni, differenziarle in ragione delle responsabilità e dei risultati. L’obiettivo sarebbe distinguere tra dirigenti che producono risultati e dirigenti che non lo fanno.
«Dirigenti Pa licenziabili come nel privato»
Le riforme della Pubblica amministrazione che si sono succedute finora non hanno funzionato. «Ne abbiamo viste tante, da ultimo la riforma Brunetta, ma nemmeno una è stata attuata. Non crediamo più alla parola riforma, che spesso è stata usata come mezzo di marketing». Marcella Panucci, direttore generale di Confindustria, bolla così gli interventi dei passati governi in materia di semplificazione della burocrazia. L’occasione è stata un convegno organizzato dalla Scuola nazionale dell’amministrazione, dove la Panucci ha affrontato anche il tema della licenziabilità dei dirigenti pubblici: «Anche il dirigente pubblico deve poter essere licenziabile come nel privato», ha detto il direttore generale di Confindustria.
Oggi, ha precisato, «il dirigente pubblico non può essere licenziato se non raggiunge gli obiettivi, perché verrebbe reintegrato ai sensi dell’articolo 18». Invece, a suo parere «va bene equiparare gli stipendi dei dirigenti pubblici a quelli dei privati, però onori e oneri, ovvero valgano tanti privilegi quanto le sanzioni».
In ogni caso, tornando alla riforma della Pubblica amministrazione «riteniamo positivo – ha aggiunto – che il presidente del Consiglio e il ministro Madia abbiano deciso di finalizzare l’attenzione sulla dirigenza pubblica». Il personale pubblico e in particolare la dirigenza secondo il direttore generale di Confindustria rappresentano il punto di snodo tra la legge o la decisione politica e la sua attuazione concreta. Il tema dunque ha un’incidenza molto forte sulla vita dell’impresa. «Non solo le decisioni politiche passano attraverso la cinghia di trasmissione della dirigenza, ma dirigenza e personale sono titolari di prerogative amministrative che tradizionalmente i ncidono sull’accesso e sull’operatività dell’impresa nel mercato».
A questo proposito, ha aggiunto, si pensi alle semplificazioni amministrative che rappresentano uno dei cardini dell’impegno del presidente di Confindustria Giorgio Squinzi sin dal suo insediamento
Il Sole 24 Ore – 26 marzo 2014