La ripresa sta arrivando, ma i redditi non se ne sono accorti, anzi, stanno fermi al 1986. Ventisette anni fa le entrate disponibili pro capite erano pari a 17.200 euro, ora, nel 2013, sono più alte per soli 100 euro.
Nel quarto di secolo abbondante che separa le due ere (il 1986 è stato l’anno del disastro nucleare di Chernobyl) si è però impennato il fisco e le spese obbligate — dalla casa, alla sanità e alla salute — si sono messe a correre. Oggi assorbono il 46 per cento dei consumi familiari, 6.500 euro l’anno circa, solo una ventina di anni fa, nel 1992 si accontentavano del 32,3 per cento, fermandosi a quota 2.700 euro. Tutto gli altri consumi, quindi, sono stretti in una morsa e la ripresa — conclude Confcommercio dopo aver elaborato dati e confronti — «al momento è solo un dato statistico».
L’analisi elaborata dal Centro studi elenca le voci dolenti dei bilanci familiari: il 58 percento del budget se ne va per mantenere la casa, e un altro 25 per cento va a coprire i trasporti. Il 7 assorbe le spese sanitarie, il 10 per cento i servizi finanziari e la protezione sociale. Ma se nel 1992 per pagare tale paniere bastavano 100 euro, ora ce ne vogliono oltre 216: un balzo dovuto alla carenza di liberalizzazioni. Al contrario — sostiene il rapporto — è crollata la spesa per tutti gli altri beni messi in commercio (alimentari, abbigliamento, istruzione, servizi e quant’altro), passata in venti anni dal 51,4 al 39,8 per cento. Anche se in tali settori l’aumento dei prezzi è stato decisamente più contenuto: per 100 euro spesi nel 1992, ora ce ne vorrebbero 160.
«L’economia italiana non è stata contaminata dal risveglio » commenta, Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio e in un quadro del genere — se tagliare il cuneo fiscale è una priorità — la riforma del fisco è un obbligo, anche perché «l’aumento dell’aliquota Iva trasformerebbe la crisi economica in crisi sociale: imprese e famiglie sono già state durissimamente colpite». In questo quadro complesso e difficile la crisi di governo «va sicuramente evitata», la politica deve «abbandonare il confronto muscolare » e avviare le riforme «che affrontino l’emergenzadel Paese». A partire dalle liberalizzazioni, dal fisco e dagli interventi a favore delle piccole imprese, che sulla questione chiedono un incontro al premier Letta.
Quanto ai consumi, il loro futuro è ancora in sofferenza: se dall’Ocse alla Confindustria intravedono la possibilità di uscire dalla crisi già da questo trimestre, secondo Confcommercio, per le vendite «nel 2014 ci sarà una flessione di modesta entità, limitata a circa due decimi di punto, ma nel biennio2012-13 la perdita reale è stata di oltre 6,5 punti percentuali». Se il crollo è dunque finito, il resto è tutto da recuperare.
La crisi ha portato le famiglie a raschiare il fondo del barile: non si vendono più nemmeno i balocchi. Il settore — tra gennaio e luglio — ha subito un calo delle vendite del 3,4 per cento in valore e del 2,4 in volume, confermando — dice Assogiocattoli — la tendenza registrata già nel 2012 (meno 2 per cento in valore sul 2011).
Repubblica – 13 settembre 2013