Il decreto attuativo della riforma Madia sul Codice dell’amministrazione digitale inciampa al Consiglio di Stato, che chiede al governo una serie di chiarimenti e integrazioni prima di dare il proprio parere. Se sugli altri provvedimenti esaminati finora, dal decreto Scia a quello sulla conferenza dei servizi e sulle sanzioni anti-assenteismo, i giudici amministrativi hanno finora dato il via libera, anche se accompagnato da suggerimenti di correzioni, il provvedimento sull’amministrazione digitale incontra obiezioni più pesanti. Palazzo Vidoni, in pratica, è chiamato a fornire le motivazioni puntuali su un gruppo di scelte, e solo dopo il Consiglio di Stato potrà fornire il giudizio definitivo.
In effetti le domande dei giudici amministrativi, messe in fila nel parere (interlocutorio) 785/2016, puntano su questioni parecchio delicate. I giudici amministrativi, prima di tutto, rilanciano le obiezioni già sollevate dagli operatori del settore sul nuovo super-requisito imposto dall’articolo 25 del decreto alle imprese che si candidano a gestire la posta elettronica certificata, l’identità digitale e gli altri servizi elettronici certificati. A loro il decreto legislativo chiede di avere un capitale sociale di almeno 5 milioni di euro, cioè il livello che Bankitalia ha imposto nella circolare 285/2013 alle banche di credito cooperativo: sul punto, i giudici amministrativi richiamano una prima obiezione già sollevata dal Tar Lazio, che nella sentenza 9951/2015 ha ritenuto «sproporzionato» il requisito, e chiede al governo di chiarire le ragioni della scelta, e di tener conto dell’esigenza di «non escludere dal mercato società che, pur in possesso di accertati requisiti di affidabilità», hanno un capitale inferiore.
Per l’articolo 46 si arriva invece a ipotizzare «l’esigenza di espungere dal testo» le novità. La riforma prevede infatti l’obbligo di cancellare da tutte le sentenze i dati personali, con l’eccezione di quelle dei giudici e degli avvocati. L’«anonimizzazione totale», che sostituisce quella oggi imposta quando la chiede una delle parti o il giudice, quando c’è in gioco l’identità di minori, i rapporti famigliari o la salute, non è però prevista in alcun punto della delega, e potrebbe soffocare di lavoro aggiuntivo le cancellerie danneggiando «l’efficacia e la speditezza» della giustizia. Da chiarire, poi, il taglio alle regole sulla «continuità operativa», in base alle quali il Codice attuale (articolo 50-bis) impone alle Pa di preparare piani di emergenza per superare gli inciampi informatici, e la validità automatica prevista per i documenti elettronici con firma digitale. La «firma elettronica», osserva il Consiglio di Stato, è rappresentata oggi da tanti sistemi diversi, a volte limitati a una «semplice password» che «per sua natura potrebbe non fornire la certezza» sulla provenienza effettiva del documento.
Mentre la Funzione pubblica è al lavoro per superare le obiezioni del Consiglio di Stato, il cantiere della riforma continua a lavorare. Ieri sono arrivati in Parlamento i primi testi, quelli che hanno già raccolto tutta la dote dei pareri preventivi, mentre per domani sono attesi in Conferenza unificata i due decreti paralleli sul taglio delle partecipate e il riordino dei servizi locali, insieme al regolamento sulle semplificazioni su cui già nelle scorse settimane si è acceso il confronto con le Regioni.
Gianni Trovati – Il Sole 24 Ore – 13 aprile 2016