Il terreno dei rapporti fra la politica e la dirigenza pubblica è minato anche dall’incertezza dei confini fra le responsabilità delle due categorie. In altre parole, si tratta di decidere chi paga quando la Corte dei conti scopre un danno erariale.
La delega che domani sarà all’esame dell’Aula del Senato torna anche su questo tema, in più punti. Sia all’articolo 9, cioè nel capitolo dedicato ai dirigenti, sia al 12, sul riordino generale della disciplina del lavoro pubblico, il disegno di legge prevede per i dirigenti «l’esclusiva imputabilità della responsabilità amministrativo-contabile per l’attività gestionale». Tutto sta a capire dove finisca «l’attività gestionale» e dove inizi la scelta politica, e per raggiungere questo obiettivo la delega, in entrambi i punti, chiede al governo di rafforzare «il principio di separazione tra indirizzo politico-amministrativo e gestione e del conseguente regime di responsabilità dei dirigenti».
Come accade per mobilità e meritocrazia, anche in questo caso si tratta di un tema “eterno” nel dibattito sulla Pubblica amministrazione, già affrontato fin dalle leggi Bassanini ma ancora irrisolto.
L’obiettivo di base è superare la «paura della firma», cioè la paralisi amministrativa che spesso si genera per il rischio incrociato che i dirigenti siano chiamati a pagare colpe dei politici, e viceversa. In realtà, nella legge che dal 1994 guida l’azione della Corte dei conti esiste già l’«esimente politica», che salva sindaci, assessori, consiglieri, presidenti e ministri quando «gli atti rientrano nella competenza propria degli uffici tecnici o amministrativi» e i politici li approvano «in buona fede».
Il problema, però, nasce dal fatto che le aree di sovrapposizione fra politica e amministrazione sono frequenti, e aumentano man mano che si “scende” sul territorio, passando dai ministeri ai singoli Comuni.
Nell’amministrazione centrale, gli interrogativi più frequenti riguardano le nomine di esterni, classicamente negli uffici di staff, che non hanno il curriculum e le competenze per occupare il posto che viene loro assegnato. La nomina è un atto politico, ma la verifica dei requisiti è spesso un fatto tecnico, e proprio questa considerazione ha evitato a più di un amministratore di rispondere per danno erariale. Negli enti locali, però, il problema non si limita a casi come questo, perché amministratori e dirigenti lavorano fianco a fianco quotidianamente molti degli aspetti della gestione del Comune. Quando si decide un esproprio ma mancano i soldi per pagare le indennità, e si finisce in un contenzioso che finisce per rivelarsi molto più salato, chi ha la responsabilità e chi ne è escluso? Quando si effettua una spesa che ex post risulta fuori dai limiti di legge, chi ne deve rispondere? Trovare un criterio generale da applicare senza problemi all’infinità di variabili che caratterizzano l’amministrazione locale è una sfida improba.
Il Sole 24 Ore – 27 aprile 2015