Sel, M5S e Lega chiedono di sospendere l’esame fino all’elezione del capo dello Stato ma la capigruppo (con Fi) decide di andare avanti. La guerra dei tempi è cominciata. Le dimissioni di Giorgio Napolitano hanno amplificato il braccio di ferro sulle riforme che Renzi vuole approvare prima del 29 gennaio, quando il Parlamento sarà chiamato a scegliere il futuro inquilino del Quirinale.
Un obiettivo contro il quale si è scatenata una vera e propria guerriglia nel tentativo di protrarre il più possibile l’esame dei provvedimenti. E infatti il primo risultato è che slitta alla prossima settimana l’avvio delle votazioni al Senato sull’Italicum mentre alla Camera procede al ralenti l’esame del Ddl costituzionale.
Apparentemente un successo delle opposizioni, che non impensierisce però più di tanto né il governo né la maggioranza. Sia la capigruppo della Camera che quella del Senato hanno infatti confermato il calendario dei lavori e respinto la richiesta di M5s, Lega, Sel di sospendere l’esame fino all’elezione del futuro Capo dello Stato. «È inammissibile cambiare la costituzione in assenza del suo garante», tuona il grillino Danilo Toninelli. Nel mirino c’è anzitutto il Governo e in particolare il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi per quello che Sel definisce «un irresponsabile irrigidimento».
Risultato: si va avanti ma con fatica. Tant’è che a Montecitorio in due ore è stato votato un solo emendamento al ddl costituzionale per i ripetuti interventi delle opposizioni contro la decisione della capigruppo. Diversa la posizione di Fi che non si è allineata alla richiesta di Lega, Sel e grillini scatenando le ire dell’ala fittiana. Maurizio Bianconi in aula ha apostrofato il suo partito «servo della maggioranza» invocando una commissione d’inchiesta sul Patto del Nazareno mentre Daniele Capezzone, presidente della commissione Finanze, ha accusato a sua volta «Fi» di aver donato il sangue «prima a Renzi, poi a Salvini e ora per par condicio a tutti e due». Il contingentamento dei tempi dovrebbe garantire alla maggioranza di raggiungere il traguardo. Nessuno però lo dà per scontato visto che si arriverà in ogni caso a ridosso dell’elezione presidenziale.
Vale anche per la legge elettorale. Al Senato la situazione è monitorata costantemente. L’Italicum è l’obiettivo principe di Renzi ma a metterlo a rischio non ci sono solo i tentativi ostruzionistici portati avanti dalla Lega con oltre 44mila emendamenti ma soprattutto il dissenso interno al Pd. Il clima interno è pessimo. La minoranza ha interpretato come una vera e propria provocazione la scelta di concedere solo un paio d’ore nella serata di martedì per presentare i subemendamenti alle proposte di modifica del governo che prevedono – oltre al premio di lista, allo sbarramento al 3% e alla clausola di salvaguardia al 1 luglio 2016 – l’introduzione dei capilista bloccati. Una scelta che potrebbe portare almeno una parte dei dissidenti (al momento una trentina) a non votare il testo finale della legge elettorale.
Il bersaniano Miguel Gotor lo ha già preannunciato. La minoranza Pd è pronta a non votare l’Italicum se non vengono cancellati i capilista bloccati. Resta da capire quanti lo seguiranno visto che i numeri al Senato sono assai parchi per la maggioranza. Intanto per consentire di stampare e distribuire a tutti i senatori quasi 50mila emendamenti all’Italicum nonché per alleggerire il clima si è preferito rinviare a martedì prossimo l’inizio delle votazioni. Nel frattempo proseguirà il confronto e certo non solo sulla legge elettorale.
La corsa per il Quirinale inevitabilmente si riflette anche sulle mediazioni a livello parlamentare. Tanto che qualcuno sospetta che tutto sommato questo allungamento dei tempi in realtà giochi a favore del premier. È stato proprio lo slittamento del voto a consigliare Renzi di rinviare a lunedì l’assemblea dei suoi senatori sull’Italicum, che invece si sarebbe dovuta tenere questa mattina. La riunione dei senatori ora sarà infatti preceduta dalla direzione del Pd di domani nella quale, è presumibile, il premier-segretario tornerà alla carica anche sulle riforme. Non è da escludere che alla fine il governo accorpi in un unico maxi emendamento le varie modifiche alla legge elettorale. Sarebbe una sorta di voto di fiducia, alla vigilia dell’appuntamento decisivo per le sorti della legislatura, il cui proseguimento – non bisogna mai sottovalutarlo – resta per i parlamentari il bene più prezioso da difendere.
Il Sole 24 Ore – 15 gennaio 2015