Il governo ha previsto nel documento di Economia e Finanza 2016 che «si concentrerà su una riforma della contrattazione aziendale con l’obiettivo di rendere esigibili ed efficaci i contratti aziendali e di garantire la pace sindacale in costanza di contratto. I contratti aziendali potranno altresì prevalere su quelli nazionali in materie legate all’organizzazione del lavoro e della produzione».
Alla base di tale attenzione per il sistema di relazioni industriali potrebbe esserci la presa di coscienza, a sei mesi dai decreti attuativi del Jobs act, che nell’ambito della contrattazione collettiva si poteva osare di più. Infatti, i decreti attuativi emanati nel 2015 non sembrano aver avuto portata innovativa in tema di relazioni industriali o rappresentatività sindacale.
Sul punto, l’unico provvedimento in cui il legislatore ha mostrato attenzione verso i rapporti tra legge e contrattazione collettiva è il decreto legislativo 81/2015 sul riordino delle tipologie contrattuali e sulla revisione della disciplina delle mansioni, che contiene numerosi rinvii alla contrattazione collettiva, pur senza indicarne – salvo eccezioni – il relativo livello: a tale riguardo, il legislatore si è limitato a specificare che, in mancanza di una diversa previsione, per contratti collettivi devono intendersi quelli nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro Rsa o Rsu.
Tale norma, tuttavia, pare più effettuare una mera ricognizione dei possibili livelli di contrattazione, lasciando invece alle parti la scelta di quello più adatto per intervenire nelle singole materie, con il risultato di essere certamente rispettosa delle “liturgie” del sistema di relazioni industriali ma inevitabilmente poco innovativa.
Al contrario, il decreto sul riordino delle tipologie contrattuali sarebbe potuto intervenire in modo più incisivo su rappresentanza e rappresentatività sindacale in tema di effetti oggettivi e soggettivi da ricollegare alla contrattazione collettiva, al fine di confermare la supremazia del livello di contrattazione decentrata, in particolare quella di prossimità.
In proposito, è evidente come tutti i richiami alla contrattazione collettiva contenuti nel decreto 81/2015 possano essere ricondotti all’interno dei cosiddetti vincoli di scopo e di quelle materie «inerenti l’organizzazione del lavoro e della produzione» in relazione alle quali, sussistendone le condizioni soggettive, il legislatore ha consentito alla contrattazione di prossimità prevista dall’articolo 8 della legge 148/ 2011, di derogare anche in peius alla legge e al contratto collettivo nazionale, con efficacia generalizzata nei confronti di tutti i lavoratori, ferma la sottoscrizione degli accordi sulla base di un criterio maggioritario relativo alle rappresentanze sindacali stipulanti.
In tale contesto, non può che suscitare curiosità e attesa la nuova riforma sulla contrattazione di secondo livello annunciata dal governo. L’obiettivo dovrebbe essere coniugare le esigenze di tutela dei lavoratori con quelle di flessibilità aziendale sempre più richieste dalla crescente globalizzazione dei mercati.
Angelo Zambelli . Il Sole 24 Ore – 13 aprile 2016