Lavinia Rivara, Repubblica. Dopo quasi 20 anni di ricette federaliste si torna al centralismo, invertendo la marcia e correggendo profondamente la riforma del Titolo V voluta dal centrosinistra nel 2001 e approvata con referendum costituzionale. La legge Boschi ridimensiona le autonomie locali eliminando le cosiddette “materie concorrenti” e limitando le competenze delle Regioni per lo più all’organizzazione e alla promozione dei servizi sul territorio.
L’obiettivo è anche quello di eliminare l’enorme contenzioso costituzionale che si è aperto a partire dal 2001 e – come è largamente riconosciuto – la confusione legislativa che ne è seguita. Basti pensare che dal 2001 al 2014 la Consulta è stata chiamata a prendere quasi 1.300 decisioni per dirimere i conflitti tra Stato e Regioni. Il cambio di rotta ovviamente non piace alla Lega e ad una parte del centrodestra, mentre le critiche mosse dai governatori del centrosinistra non riguardano tanto le competenze regionali quanto la rappresentanza. La stessa ministra Maria Elena Boschi ha detto che se avesse potuto decidere da sola forse avrebbe fatto diversamente sul titolo V, perché il disegno iniziale «era più chiaro». Ma – ha aggiunto – «se in futuro dovesse essere necessario cambiare qualcosa su questo punto, lo faremo. La Germania lo fa tutti gli anni».
VIA LE MATERIE CONCORRENTI
Sono quelle su cui oggi hanno diritto di intervenire sia lo Stato che le Regioni. Con la riforma la maggior parte di esse diventa di competenza esclusiva dello Stato (escluse le 4 regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano fino alla revisione dei loro statuti). Tra le più importanti il coordinamento della finanza pubblica e del sistema fiscale (salvo gli aspetti più territoriali), la previdenza, la produzione, il trasporto e la distribuzione dell’energia, la tutela e la sicurezza del lavoro, il commercio con l’estero, le leggi che regolamento le professioni, lo sport, la comunicazione. E ancora la protezione civile, la ricerca scientifica, la sicurezza alimentare, l’ambiente, la tutela della concorrenza, i mercati finanziari il coordinamento informatico dei dati delle amministrazioni.
Per diverse altre materie la competenza viene suddivisa tra Stato e Regioni, riservando al primo sempre la potestà legislativa sulle disposizioni comuni e alle regioni il compito di organizzare servizi e attività sul territorio.
È così per reti di trasporto, porti e aeroporti, infrastrutture strategiche, tutela della salute (dove lo Stato continua determinare i livelli essenziali delle prestazioni), istruzione, beni culturali e paesaggistici, promozione della cultura, turismo, politiche sociali. Ad esempio per ciò che riguarda l’istruzione, spetta allo Stato legiferare non solo sull’ordinamento scolastico ma anche sull’autonomia degli istituti, sugli organi collegiali, sulla parità e il diritto allo studio.
LE COMPETENZE REGIONALI
Le materie di competenza regionale dunque restano solo queste: pianificazione del territorio regionale; dotazione infrastrutturale; programmazione e organizzazione dei servizi sanitari e sociali; promozione dello sviluppo economico locale, servizi alle imprese e per la formazione professionale; servizi scolastici, promozione del diritto allo studio, anche universitario, attività culturali e promozione dei beni ambientali, culturali e paesaggistici locali; valorizzazione e organizzazione regionale del turismo; relazioni finanziarie tra gli enti territoriali della Regione, rappresentanza delle minoranze linguistiche.
LA SUPREMAZIA STATALE
Nasce la “clausola di supremazia” grazie alla quale lo Stato potrà intervenire in materie di competenza regionale quando lo richiede “la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica”, cioè “dell’interesse nazionale”. Solo il governo può esercitare la clausola di supremazia presentando una legge che dovrà essere discussa con un procedimento legislativo ad hoc (monocamerale rinforzato), in base al quale dopo il sì della Camera il nuovo Senato può discutere il provvedimento senza bisogno che lo richieda un terzo dei suoi componenti. E se approva delle modifiche a maggioranza assoluta la Camera non potrà bocciarle se non con la stessa maggioranza.
LA RAPPRESENTANZA
Il nuovo Senato ha come primo compito quello di rappresentare le istituzioni locali. E la discussione su chi dovesse esercitare questa rappresentanza e se si dovesse seguire o meno il modello tedesco del Bundesrat, è stata lunga e combattuta. Quasi tutti i presidenti delle Regioni hanno chiesto di essere membri di diritto del Senato, per rappresentare appunto l’istituzione locale. La soluzione finale prevede invece che a palazzo Madama entrino 21 sindaci e 74 consiglieri regionali, scelti dai Consigli con elezione di secondo grado ma “in conformità con le scelte dei cittadini”. Nulla vieta che tra questi ci siano anche i governatori, ma dovranno appunto essere eletti.
LA CONFERENZA
La riforma non dice nulla sul destino della Conferenza Stato- Regioni, oggi unica sede di coordinamento tra il centro e la periferia per l’attuazione delle leggi e per la ripartizione dei finanziamenti regionali. Ma potrebbe anche essere soppressa visto che tra i compiti del Senato c’è quello del raccordo “tra lo Stato e gli enti costitutivi della Repubblica”.
LE PROVINCE
Vengono abolite e cancellate dalla Costituzione, non sono più enti costitutivi della Repubblica, ma al loro posto nascono gli “enti di area vasta”, già previsti dalla legge del 2014. Quella cioè che ha creato le Città metropolitane, abolito le giunte provinciali e l’elezione da parte dei cittadini, stabilendo una elezione di secondo grado (da parte dei sindaci e consiglieri comunali del territorio) per presidenti e consigli provinciali
Repubblica – 16 maggio 2016