«Occorre, innanzitutto, essere certi che interventi diretti ad assicurare l’eguaglianza, come quelli riguardanti la sanità, l’istruzione, la tutela del lavoro, non producano il risultato di aumentare le diseguaglianze. Poi, tener conto che il divario tra Nord e Sud è aumentato. Essenziale la questione delle risorse. La Costituzione parla di maggiori compiti, non di maggiori risorse da trasferire».
«Certo. La torta non si allarga se alcune Regioni ne prendono una fetta più grossa, perché qualcun’altra ne avrà una più piccola. Nel 2017 – 2018 era stato valutato che le tre regioni del Nord che richiedevano l’autonomia differenziata avrebbero goduto di 21 miliardi in più di risorse per anno, ciò che avrebbe comportato per la Lombardia un aumento delle risorse disponibili in bilancio di più di un quarto. Da ultimo, non va dimenticato che alcune Regioni vogliono colmare il cosiddetto residuo fiscale positivo, lamentando che lo Stato raccoglie imposte sul loro territorio più di quanto conferisce loro in termini di servizi. Tutto questo riapre la ferita del divario».
I presidenti di Regione del Sud chiedono che si approvino i Lep e i costi standard, poi le autonomie. Hanno ragione?
«La bozza di lavoro dell’8 novembre 2022, presentata dal ministro Calderoli, prevede che i livelli essenziali delle prestazioni (Lep) precedano i trasferimenti e solo se dopo un anno non siano stabiliti i Lep, si passi ai trasferimenti. Non vedo perché in un anno non si possano stabilire i Lep, anche perché costituiscono un patto con i cittadini, trasferendo, quindi, in parallelo compiti e risorse necessarie, senza prevedere eccezioni».
Si potranno trasferire alle Regioni fino a 23 funzioni attualmente in capo allo Stato. Alcune regioni, come il Veneto, le chiederanno tutte, altre meno. Qualcuna, nessuna. Si possono creare squilibri?
«Conferire autonomia vuol dire accettare la differenziazione tra le Regioni. Ma bisogna mettere insieme determinazione dei Lep, trasferimenti di compiti, personale e risorse».
Il ministro replica alle critiche sottolineando che anche il ritardo nell’attuazione delle autonomie va contro i dettami costituzionali.
«La Costituzione ha subito più volte ritardi nell’attuazione: Corte costituzionale 1956 e regioni 1970, 22 anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione. Non si tratta di una illegittimità costituzionale (la norma costituzionale dispone che ulteriori forme di autonomia “possono” essere attribuite a singole Regioni), ma una inerzia da evitare».
Le opposizioni chiedono che il Parlamento possa intervenire sugli accordi tra governo e Regioni.
«L’ulteriore trasferimento alle Regioni è un problema nazionale. Fa parte di un pacchetto unitario, con il quale bisogna ridurre la asimmetria tra governo centrale e Regioni, dando al primo quella stabilità che alle Regioni è stata data circa trent’anni fa. Poi, non basta risolverlo con intese con ciascuna Regione. Occorre valutarlo complessivamente, come d’altra parte ha riconosciuto il ministro Calderoli portando la bozza di lavoro del disegno di legge alla Conferenza Stato Regioni”
La Stampa