«Signori, benvenuti a Saigon». Le parole con cui il capogruppo dei Cinque Stelle Jacopo Berti saluta i consiglieri della Lega e della Lista Zaia, unite ai carelli stracarichi di emendamenti che vanno e vengono dall’aula, non fanno ben sperare. Ne sfogliamo un pacco: «Modificare il nome “Azienda Zero” in “Azienda Sottozero”». «Dopo le parole “con sede individuata dalla giunta” aggiungere “dopo aver indetto referendum popolare”». «Sostituire “direttore generale” con “dirigente responsabile”». Ce ne sono 1.001 così e qualcuno s’è preso la briga di fare due conti: se davvero l’opposizione avrà l’ardire di portare l’ostruzionismo alle sue estreme conseguenze, sfruttando fino in fondo la wild card chiesta dal Pd per disapplicare il contingentamento dei tempi (è consentito una volta soltanto a ciascun gruppo durante la legislatura), il consiglio resterebbe inchiodato per 200 giorni ad una media di 10 ore a seduta. Strabuzza gli occhi un consigliere: «Sicuri? E con le ferie come facciamo?». Già, come si fa?
Con queste premesse è iniziato ieri a Palazzo Ferro Fini il confronto sul famigerato «Pdl 23», dove «pdl» sta per «progetto di legge» anche se tutti preferiscono parlare di «riforma», aggiungendo a seconda degli schieramenti «epocale» oppure «pasticciata». Di sicuro è il provvedimento più importante (per le modifiche che apporta alla governance della sanità) e più delicato (politicamente parlando) di questa legislatura, il simbolo del secondo mandato presidenziale di Luca Zaia. Che così l’ha presentato all’aula: «È la madre di tutte le battaglie (titolo che deve condividere con gli altri 18.600 risultati restituiti da Google se si abbina l’espressione al nome del governatore, ndr .). Non è stato un lavoro facile e tutti noi sentiamo la responsabilità di mettere mano a un’eccellenza. Perché la sanità veneta funziona. Ma sarà così anche tra qualche anno? Dobbiamo darle nuova linfa, a fronte dei tagli che non si fermano. Dal 2010 a oggi Roma ha ridotto i trasferimenti di 14 miliardi. L’8% di questa sforbiciata pesa su di noi, che dobbiamo garantire 80 milioni di prestazioni l’anno, 2 milioni di accessi al pronto soccorso, 60 mila dipendenti».
La strada individuata è quella di cui si è discusso nell’ultimo anno, nel corso di 17 sedute in commissione Sanità, col parere di 174 Comuni, dei sindacati e degli ordini professionali, di decine tra associazioni e istituzioni analiticamente elencate dal presidente Fabrizio Boron a riprova che «il provvedimento non è stato calato dall’alto»: la riduzione delle Usl da 21 a 9 (le sette province più Bassano e il Veneto Orientale) e la creazione dell’Azienda Zero, in cui saranno centralizzati buona parte dei servizi amministrativi (dagli acquisti alle assunzioni, dall’ufficio legale a quello tecnico): «C’è il rischio che qualcosa vada storto? – continua Zaia -. È una grande riforma e dobbiamo avere coraggio come chi ci ha preceduto. Per dire, dal Dopoguerra a oggi in Veneto sono stati chiusi 49 ospedali, una decisione non facile ma lungimirante». Economie di scala, razionalizzazione delle risorse ed efficientamento degli uffici sono secondo Zaia l’unico modo per continuare a garantire l’eccellenza. «Ma non andremo al muro contro muro, il testo è già stato ritoccato, per esempio sul numero delle Usl che per me dovevano essere 7. Spero che l’opposizione non insista in un ostruzionismo che farebbe solo male ai veneti. Ci sono 28 provvedimenti da calendarizzare e altri 132 sono già al vaglio delle commissioni». Aggiunge Boron: «Ci era stato chiesto di confermare il ruolo della direzione Servizi sociali e della conferenza dei sindaci e di lasciare la programmazione e il controllo in capo alla giunta e al consiglio e così abbiamo fatto».
Ma all’opposizione, che chiede l’ampliamento delle medicine di gruppo, nuove assunzioni di medici e infermieri, più posti letto negli ospedali di comunità, la tessera sanitaria elettronica e interventi sulle liste d’attesa e le case di riposo, non basta: «Zaia ha precarizzato la sanità con i commissariamenti – attacca Claudio Sinigaglia del Pd – e ora crea l’Azienda Zero che riduce i direttori generali a meri esecutori, fedeli e scrupolosi osservanti delle direttive impartite dall’alto». Precisa Alessandra Moretti: «Il nostro non sarà un ostruzionismo fine a se stesso, vogliamo migliorare il testo e impedire che si vada avanti a colpi di maggioranza». Il pentastellato Berti propone che si vada avanti con la sola riduzione delle Usl, stralciando l’Azienda Zero, «una cortina fumogena, una sovrastruttura burocratica che non incide sul vero cancro della sanità veneta e cioè i project financing». E questo è solo l’inizio. (Marco Bonet – Il Corriere del Veneto)
Altolà dall’opposizione: «Un salto nel buio»
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«L’Azienda Zero, configurata come azienda sanitaria con autonomia giuridica e patrimoniale, finanzia ma non eroga servizi e riduce al rango di meri esecutori i direttori generali delle Ulss: non collabora ma comanda; senza contare che un recente studio della Cgil rivede le prospettive di risparmio indicate nella tanto sbandierata analisi di Ca’ Foscari: non più 90 milioni ma 21. Come partito democratico abbiamo presentato la nostra controproposta: l’Agenzia veneta sociosanitaria». Claudio Singaglia, relatore di minoranza del testo di riforma voluto da Zaia, ieri mattina ha inaugurato cosi il fuoco fila dell’opposzione destinata a scandire la lunga serie di sedute in programma. Le obiezioni sollevate dai consiglieri del Pd, i primi a prendere la parola, hanno insistito molto sullo «strapotere» concesso al nuovo soggetto Azienda Zero, e non hanno risparmiato neppure il previsto accorpamento delle aziende sanitarie: «Ancora non abbiamo capito perché sono previste nove Ulss: criteri scientifici, epidemiologici o politici?», le parole di Sinigaglia «chiediamo la salvaguardia e l’attuazione dell’integrazione sociosanitaria, siamo fortemente convinti che prima di ridurre il numero delle Ulss sarebbe stato fondamentale realizzare i servizi previsti sul territorio: gli ospedali di comunità, le unità riabilitative territoriali, le medicine di gruppo integrate, la riforma delle case di riposo».
«Servono più posti letto e un grande piano di assunzione regionale, almeno 300 unità, per fermare il blocco dei turnover e dare lavoro ai nostri giovani medici, infermieri, ostetrici e tecnici», ha fatto eco Alessandra Moretti, la capogruppo dem «ma anche borse di studio per le specializzazioni e una vera digitalizzazione del sistema. Le riforme sono importanti, aggiornano norme e istituzioni, ma servono pesi e contrappesi adeguati».
Pungenti gli interventi del Movimento 5 Stelle: «Queste non sono scelte pratiche, ma burocratiche, si inventano nuovi uffici per far funzionare quelli esistenti», ha tuonato lo speaker Jacopo Berti «un centro unico regionale per gli acquisti sanitàri è già attivo, ci lavora una decina di persone, perché istituire un doppione? Chiediamo trasparenza, vogliamo sapere come e perché viene speso ogni singolo euro, pretendiamo che siano abbandonati i project financing una volta per tutte e domandiamo a nostra volta di dividere le Ulss sulla base dei bacini di utenze, individuati su base programmatoria. Zaia dice di aver cambiato il testo della legge, ma l’ha fatto solo a causa delle liti inteme alla maggioranza».
Lungo anche l’elenco delle richieste dei tosiani: «Bisognerebbe eliminare il ticket e abolire le liste d’attesa, inserire finalmente le risorse standard per dare a tutto il territorio veneto pari dignità e fondi», ha dichiarato Giovanna Negro «e il controllore delle operazioni andrebbe espresso dalla minoranza». Dalla maggioranza, il commento favorevole di Massimiliano Barison (Forza Italia): «Stiamo scrivendo una pagina di storia, abbiamo integrato il progetto iniziale alla luce delle richieste degli operatori sanitari, dai sindacati e dagli enti locali, stiamo lavorando perché quello veneto resti un modello a cui guarda tutta Italia». «La riforma sia un atto di coraggio e rifletta le sigenze del territorio», le parole di Sergio Berlato (Fratelli d’Italia). (Giacomo Costa – Il Mattino di Padova)
22 giugno 2016