di Barbara Gobbi. Il Def indica una spesa sanitaria in calo costante e le Regioni nel 2013 riducono ancora il disavanzo (senza manovre locali) fermo a 1,63 miliardi. Ma i tagli restano in agguato: 800 milioni-1 miliardo già nel 2014 potrebbe essere ciò che il Governo chiede al Ssn. Forse già con un taglio del fondo 2014 e comunque mettendo nero su bianco (il decreto è atteso per il 18 aprile) una strategia di risparmi che ha nel mirino – al di là del Patto per la salute per ora “congelato’ nell’attesa di conoscere il verdetto finale sulle risolse – soprattutto beni e servizi, ma che potrebbe riservare altre sorprese per fare cassa Le Regioni sono in allarme, ma sia il premier sia la ministra Lorenzin le ammoniscono: basta alibi per non portare avanti politiche virtuose. Tanto che – è la promessa – i tagli peseranno solo su chi finora non è stato capace di risparmiare.
«Lo Stato ha a cuore la salute. Le Regioni devono capire che è il momento di dare una vera scossa: impegni chiari e certificati». Anche perché se è necessaria la consapevolezza che «oggi godiamo dei frutti della nostra Costituzione, tali frutti che diamo per scontati, cioè l’universalismo del Sistema sanitario nazionale, non sono scontati per niente».
E forte e chiaro il messaggio che in occasione degli Stati generali organizzati l’8 e il 9 aprile scorsi all’Auditorium Parco della musica di Roma, la ministra della Salute Beatrice Lorenzin ha inviato ai governatori guidati da Vasco Errani. Se da una parte la ministra ha cercato di fare scudo contro l’ipotesi Cottarelli di ulteriori tagli lineari al Servizio sanitario nazionale, dunque, la chiamata a un forte senso di responsabilità, al rigore, alla trasparenza – «lo spreco in sanità è immorale» – è stata il leitmotiv della “due giorni” dedicata a prevenzione, ricerca scientifica, rapporti tra le professioni e salute internazionale.
II messaggio forte che resta è quindi soprattutto politico: la richiesta di Lorenzin alle Regioni di impegnarsi a rinnovare l’assetto del Ssn, traducendolo in quel Patto per la salute che tra il cambio di guardia governativo, i malumori dei presidenti e le ipotesi di ulteriori tagli non è stato ancora approvato. Se ne parlerà a maggio. Sempre che il decreto su tagli e risparmi per cima un miliardo nel solo 2014, annunciato per il 18 aprile, sia ben digerito dai governatori. Cui non a caso la ministra ha rivolto più di un monito: «Chiamo le Regioni a un grande lavoro di rigore e serietà. Ci stiamo cimentando sul Patto per la salute: dell’unico Patto siglato, quello del 2009, è rimasto lettera morta il 90% degli impegni». La scommessa, da centrare pena la sostenibilità del Ssn, è oggi «quella di segnare una nuova fase, dicendo dove e quanto si può risparmiare e adottando meccanismi verificabili» e, se necessari, eventuali «poteri sostitutivi». La posta in gioco è scongiurare la selettività. «Non voglio – ha spiegato Lorenzin – che l’Italia debba fare scelte come quelle fatte in altri Stati con una cultura diversa dalla nostra, come quella di dare alcuni farmaci solo a chi ha meno di 70 anni».
Mantenere l’universalismo sarà però possibile solo recuperando risorse. «Diversi miliardi – ha tenuto a precisare Lorenzin – da reinvestire in salute». II Patto è lo strumento ed è II che vanno riposte «grandissime aspettative». Perché è «d’occasione di ripianificare e riprogrammare il nostro Servizio sanitario nazionale – alla luce delle cose accadute negli scorsi anni: la riforma del Titolo V, il riordino della rete ospedaliera, la revisione dei posti letto, i tagli lineari e una spending review che ha già cospetto il Ssn a «dare 25 miliardi indietro». Il cambio di passo per riformare un sistema che dovrà privilegiare interventi mirati passa inevitabilmente per «una fase nuova fatta di riforme, programmazione ma anche di certezze e trasparenza». «Per come abbiamo gestito il sistema – prosegue Lorenzin – dobbiamo recuperare miliardi di euro da margini di inefficienza, sprechi, cattiva gestione, sciatteria dell’amministrazione e reinvestire questi soldi nella salute delle persone».
Cioè, innanzitutto, in quei Livelli essenziali di assistenza ormai vetusti perché fermi a 12 anni fa. Un’era geologica, se si considera che nel frattempo l’Italia ha conosciuto la più grande crisi economica dal secondo dopoguerra ed è passata per il terremoto della (prima) revisione del Titolo V della Costituzione. Con il risultato che «oggi il Paese ha due motori: uno con il piano di rientro e l’altro senza. Ma i cittadini italiani sono tutti uguali». I Lea, dunque: «Nel Patto per la salute – ha annunciato ufficialmente la ministra agli Stati generali di Roma – abbiamo già approvato una serie di articoli. Il primo prevede 900 milioni in tre anni, recuperati da un’ottimizzazione delle degenze in ospedale da reinvestire nei livelli essenziali. Oggi ci sono malattie fuori Lea che non sono calcolate, abbiamo la necessità di riaggiornarli, renderli più efficienti e dare più servizi alla popolazione. Nessuno si immagina che questo denaro si possa recuperare da nuove tasse, ma da un’ottimizzazio-ne interna sì».
Ottimizzazione che potrà passare solo per una governance che sia davvero in grado di fare la differenza: «Dove c’è un’azienda che non funziona c’è sempre un cattivo management. Ogni volta che un’azienda perde qualche milione di euro sta aumentando anche l’inefficienza. È una realtà sulla quale fare i conti apertamente». II proverbiale “rimboccarsi le maniche”, ad ascoltare il Lorenzin-pensiero, suona come un eufemismo. Eppure, programmare tutto il sistema e ripianificarlo (non basterà», ha avvertito la ministra: «La prevenzione deve diventare elemento essenziale delle nostre vite».
E questo ingrediente cruciale di ogni sistema sanitario, sottostimato dall’Europa e ancora cenerentola in Italia, «che permetterà di vincere la grande sfida con i costi sanitari. Faccio l’esempio del diabete alimentare: con un corretto stile di vita si sconfigge la malattia e si permette al Ssn di risparmiare 3 miliardi di euro. Per questo è fondamentale educare le nuove generazioni, oggi bombardate da abuso di alcol e droga, a un corretto stile di vita». Altolà alle soluzioni a pioggia: «Nei prossimi anni faremo interventi mirati su giovani, anziani e donne perché curare una donna significa curare una famiglia».
Se la prevenzione è un vero investimento, nel complesso valorizzare il Servizio sanitario significherà conquistare un punto percentuale in più nel Pil: «Non capire che quell’ 11% del Pil derivato dal sistema salute può diventare 12%, significa essere miopi. Noi possiamo crescere con la nostra cultura, con la nostra ricerca e con il nostro patrimonio scientifico».
A elencare i tre pilastri necessari per rafforzare la ricerca italiana – «che vanta comunque risultati eccellenti» – è intervenuta la ministra Stefania Giannini: «Innanzitutto – ha spiegato – bisogna muoversi in un contesto europeo: Horizon 2020 ha tracciato un percorso molto chiaro e il portafoglio della nuova programmazione settennale sfiora gli 80 miliardi. Per essere competitivi in questo quadro, è necessario aggregare la ricerca scientifica per temi e sfide. Non si può più pensare di continuare ad adottare un’ottica monodisciplinare. II secondo punto è la semplificazione: in Italia ci sono troppi soggetti che si occupano di ricerca. II terzo punto è la visione strategica e una stabilità delle condizioni: questo significa avere chiarezza sui fondi disponibili, in una prospettiva almeno triennale, senza continuare ad affidarsi a interventi di emergenza nelle varie leggi di stabilità».
Barbara Gobbi – Il Sole 24 Ore sanità – 15 aprile 2014