Nell’attesa di vedere se dopo Sappada il Friuli Venezia Giulia farà il diavolo a quattro per prendersi pure Cinto Caomaggiore, al Veneto non resta che assistere impotente all’addio di uno dei suoi 579 Comuni e prepararsi chissà, forse alla fuga di altri venti.
Bello smacco, che – è verissimo – ripropone con forza allo Stato il problema irrisolto dell’enorme disparità di trattamento tra le Regioni speciali e quelle ordinarie, non più tollerabile (e gestibile) dopo la Grande Crisi, e che però è pure l’esito finale di un’onda partita da lontano, a lungo sottovalutata dalla politica veneta (in fin dei conti fino a ieri tutti i tentativi di trasbordo verso le Regioni «speciali» erano finiti puntualmente insabbiati) quando non cavalcata a seconda delle convenienze (in particolare dalla Lega: ancora ieri Roberto Calderoli plaudiva al rispetto del «principio di autodeterminazione, che viene sempre prima di tutto», mentre i suoi qui rimanevano col cerino in mano).
Ma non è detto che una sconfitta non possa tramutarsi in un’arma per la vittoria. Quale argomento potrebbe infatti trovare il governatore Luca Zaia più efficace di Sappada per convincere il governo a cedere un po’ dell’autonomia invocata dagli oltre due milioni di veneti che il 22 ottobre scorso si sono messi in fila alle urne? Volendola buttare sull’epico, tra dieci anni si potrebbe dire che il Veneto ha sacrificato uno dei suoi figli per salvare tutti gli altri; più prosaicamente si può immaginare che il plastico esempio di Sappada verrà scaraventato come un macigno da Zaia sul tavolo della trattativa che si sarebbe dovuto aprire oggi e solo la tragica scomparsa del professor Buratti ha costretto a rinviare di una settimana. E difatti il governatore subito avvisa: «Oggi se ne va Sappada. Domani sarà Cortina, poi chissà. Di questo passo daremo uno sbocco al mare al Trentino. Bisogna prendere atto che il Veneto è l’unica Regione a confinare con due Regioni a statuto speciale e fare una riflessione: i Comuni che ci chiedono di andarsene lo fanno solo verso Friuli e Trentino, nessuno ci chiede di passare in Lombardia o in Emilia Romagna. Bisognerebbe spiegare il perché». E certo governo e parlamento non possono pensare di «continuare a banalizzare». L’unica cura possibile «è l’autonomia» e «non si può sostituire con amputazioni ad hoc».
Roberto Ciambetti, presidente del consiglio regionale che con un ultimo, disperato tentativo ha provato a bloccare il voto della Camera facendo leva su un busillis procedurale, insiste: «C’è il rischio di un effetto domino: se oggi il governo del Friuli Venezia Giulia ha sostenuto il passaggio di un Comune nel suo territorio, sarà difficile domani negare ad altri Comuni il diritto di esercitare analoga facoltà, con le stesse modalità, ad iniziare dal mancato parere espresso dal consiglio regionale. Immagino che soprattutto il Trentino Alto Adige il prossimo anno dovrà fare i conti con questo scenario. Si è trattato di un voto miope ma immagino che questo interessi poco il parlamento e la giunta friulana, ormai arrivati a fine corsa».
Ovviamente di tenore opposto il commento degli amministratori friulani, dal presidente della Provincia di Udine, Pietro Fontanini («È una giornata storica») alla presidente della Regione, la democratica Debora Serracchiani: «Il voto della Camera è un atto di giustizia. Confido che ora siano archiviate polemiche e contrapposizioni. Sappada non entra nella nostra regione come una bandierina sulla carta geografica, ma accolta come il ritorno di una gente rimasta a lungo staccata dal suo ceppo. Ora serve un confronto schietto tra territori che, al di là dei confini, vivono le comuni problematiche della montagna». (Il Corriere del Veneto – 23 novembre 2017)
Molto più importante per la strategia del governatore è invece il caso Sappada. Montecitorio ieri ha votato il trasloco amministrativo della cittadina del bellunese creando però un precedente che potrà essere invocato da altri Comuni, soprattutto da quelli a vocazione turistica che ambiscono a giovarsi della generosa legislazione di sostegno varata dalla regione Friuli Venezia Giulia. Zaia ha quindi buon gioco a fare del caso Sappada uno «scandalo» e a riproporre nel contenzioso con il governo — senza risparmiare sui decibel, come da tradizione — la sua visione dura-e-pura dell’autonomia veneta presentata come progetto più razionale rispetto all’esodo opportunistico dei singoli Comuni. Che poi — va detto senza fronzoli — sognano il Friuli VG non certo in nome della responsabilità gestionale o delle tradizioni culturali bensì della prosaica spesa pubblica e dell’assistenzialismo.
Così mentre i flussi dell’economia reale ci suggeriscono che tutto il Nord è una regione unica attraversata dalla A4 e in fiera competizione con le altre aree forti del Continente, gli enti locali del Nordest giocano come dei Peter Pan della politica al piccolo risiko dei campanili. Per questo motivo suonano del tutto incomprensibili le dichiarazioni di Debora Serracchiani che ha definito lo shopping amministrativo di Sappada come «una delle gratificazioni profonde di questa mia legislatura» da governatore del Fvg (quindi non ce ne devono essere state molte, ndr) e addirittura ha parlato dei cittadini di Sappada come «di gente tornata dopo essere rimasta a lungo staccata dal suo ceppo». Complimenti, un protoleghista non avrebbe trovato parole migliori.
Corriere.it – 23 novembre 2017