Revocate le deleghe a tutta la giunta comunale di Venezia: «Reazioni opportunistiche e ipocrite, è venuto meno il rapporto con la politica». Ha ceduto al pressing del Partito democratico e ha annunciato le sue dimissioni: Giorgio Orsoni, indagato nell’ambito dello scandalo sui lavori al Mose di Venezia, lascia il suo incarico di sindaco. Lo ha confermato a poche ore dal suo ritorno in libertà dopo otto giorni di arresti domiciliari: una «conclusione amara» per il sindaco, che ribadisce «di aver sempre lavorato per il bene della città».
Accusato di aver preso fondi illeciti per la campagna elettorale del 2010, Orsoni ha patteggiato quattro mesi per illecito finanziamento ai partiti (la decisione finale spetta ancora al gup) ed è tornato in libertà. Nessuna intenzione di dimettersi, almeno fino al confronto con maggioranza e minoranza di ieri: «Ho dovuto constatare che non c’era compattezza sul da farsi, sul continuare, per le cose urgenti e nell’interesse della città» ha spiegato Orsoni, che per venti giorni sarà ancora in carica per affrontare le pratiche obbligatorie, dopo di che subentrerà un commissario prefettizio. Prima di depositare le dimissioni, ha disposto la revoca delle deleghe a tutta la giunta comunale di Venezia: «Non è un atto contro i singoli amministratori», ma «è una revoca che ha il solo scopo di certificare da parte mia il distacco e la totale sfiducia nella parte politica che mi ha espresso».
Parla di «reazioni per lo più opportunistiche ed ipocrite di singoli esponenti, anche appartenenti a quella maggioranza che fino ad ora ha sostenuto la mia giunta»: è questo ad averlo convinto che «sussistono neppure le condizioni minime per un percorso amministrativo per l’approvazione di atti urgenti, a meno di una forte presa di responsabilità da parte del Consiglio» scrive nella lettera inviata al presidente del Consiglio comunale. Un chiaro attacco al Partito democratico che ricalca le parole già pronunciate ieri in un’intervista a La Stampa, definendo il Pd «superficiale e farisaico», dicendo di essere stato «calpestato e scaricato», «qualcuno che mi conosceva bene doveva almeno riflette prima di parlare, mi sento molto offeso per essere stato accomunato a dei malfattori».
LA RICHIESTA DEL PARTITO DEMOCRATICO
«In un confronto con la segreteria nazionale del Partito, alla presenza anche del segretario Matteo Renzi, questa mattina abbiamo preso atto che la situazione, a Venezia, era cosi’ deteriorata che non era possibile fare un passo avanti» precisa Roger De Menech, segretario regionale veneto del Pd, commentando le dimissioni, «la nostra posizione non è contro le persone, ma sui metodi della politica». Ma a poche ore dal suo rientro in municipio, le richieste di dimissioni sono arrivate da più parti: dopo le dimissioni di un assessore e di un delegato del sindaco, l’assessore Gianfranco Bettin e i due consiglieri di “In Comune”, Beppe Caccia e Camilla Seibezzi, hanno chiesto a Orsoni «un ultimo gesto di responsabilità verso la città: presentare lui stesso le dimissioni in modo da consentire che siano votati gli atti di bilancio utili ai cittadini».
E un’esplicita richiesta è arrivata in mattinata anche dal vicesegretario nazionale del Pd Debora Serracchiani: «Siamo umanamente dispiaciuti per la condizione in cui si trova Orsoni», ma «abbiamo maturato la convinzione che non vi siano le condizioni perché prosegua nel suo mandato. Invitiamo Orsoni a riflettere sull’opportunità di offrire le dimissioni» ha affermato Serracchiani insieme al segretario regionale Roger De Menech, segretario regionale Pd.
LE REAZIONI
Un giudizio positivo sulla scelta di Orsoni arriva da Francesca Zaccariotto, presidente della Provincia di Venezia: «Ha fatto assolutamente bene – ha dichiarato – non si è trovato nelle condizioni politiche di proseguire. Oggi esce male la politica di sinistra che dimostra di non essere capace di assumere le sue responsabilità. E’ insomma il Pd che oggi deve sentirsi in ginocchio». Un gesto dovuto secondo Francesco Russo, deputato Pd: «Le dimissioni di Orsoni sono un gesto dovuto. A lui, però, mi permetto di dire che non ci si può giustificare dicendo: “mi hanno detto di prendere i soldi e li ho presi. Comunque se, come dice lui, le colpe sono anche di altri faccia chiaramente i nomi. Con la certezza che chiunque venga trovato assieme a lui colpevole si dovrà dimettere».
La Stampa – 13 giugno 2014