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Sconvolta la terra del Prosecco. A Refrontolo l’esondazione fa scoppiare la polemica sui viticoltori che avrebbero disboscato

Secondo le testimonianze da vent’anni le vigne prendono il posto dei campi ma si fa in modo di garantire il drenaggio dell’acqua. Prosecchisti contro antiprosecchisti. Finisce con le baruffe chiozzotte la catastrofe di Refrontolo, più che un paesino adagiato sulle prealpi trevigiane un trattato sul paesaggio italiano, vigne cariche d’uva e boschi e poi ancora boschi e vigne, in un rincorrersi sinuoso che ricorda le Marche e la Toscana.

Refrontolo è un compendio su un angolo di Veneto risparmiato dallo scempio della cementificazione e delle fabbrichette pret à porter, un angolo bucolico indicato dalle segnaletiche stradali con un pomposo e francesizzante “via dei cru”.

Forse è per questo che i volti di questi veneti schivi e di poche parole sono ancora scavati dalla paura. I quattro morti del Molinetto della Croda peseranno per molti anni sulla memoria collettiva di Refrontolo. È un po’ come morire dentro uno spot del mulino bianco, nel luogo più bucolico, rassicurante e rilassante che mente umana possa concepire: le cascate, il mulino, le vecchie cascine settecentesche con le imposte rosse che sbocciano in mezzo a una campagna pettinata in modo maniacale.

La stradina di campagna a cerchi concentrici scivola dentro questa piramide capovolta tra un trionfo di acacie, abeti, salici, alberi di noci e le solite, rigogliose vigne di prosecco, diventate da oggetto del desiderio (un ettaro di vigna da queste parti vale dai 300 ai 600mila euro) a pomo della discordia. Refrontolo è l’epicentro del Consorzio storico di Conegliano e Valdobbiadene, 15 Comuni e 6.577 ettari coltivate a vite, 170 imprese spumantistiche, 72 milioni di bottiglie prodotte e un export che viaggia intorno al 42,7 per cento. Una macchina da guerra che si somma al piccolo consorzio del Prosecco di Asolo (200 ettari) e al megaconsorzio interregionale (Veneto e Friuli) voluto da Luca Zaia quando era ministro dell’Agricoltura, con nove province e 240 milioni di bottiglie prodotte. In volume, ma non in valore, è la prima area spumantistica del pianeta. La tesi degli antiprosecchisti è che i succulenti profitti delle bollicine – un settore anticiclico che non risente dunque dei contraccolpi della crisi – abbiano alimentato un giro vorticoso di nuovi viticoltori che avrebbero riconvertito boschi e terreni a seminativi alla monocultura del prosecco. Luca Zaia, che fino a qualche anno fa aveva eletto il suo buen retiro nella Torre delle fate, una villa a poche decine di metri dall’ombelico di Refrontolo, sbotta: «Ho letto delle cose totalmente false. Qualcuno ha parlato di capannoni e cementificazioni. È gente che non ha mai messo piede da queste parti».

La tesi del governatore è semplice: «Sono caduti 500mila metri cubi d’acqua che hanno spostato l’equivalente di 15 Tir di terra. Alcuni corpi sono stati trovati a un chilometro dal tendone installato accanto al torrente Lierza. Il Prosecco non c’entra nulla, qui ce n’è meno di quarant’anni fa».

Una tesi corretta in parte da Luigino Barison, ricercatore presso il Centro ricerche viticoltura ed enologia dell’università di Padova con sede a Conegliano. Dice: «Nel 1974 gli ettari a vigna nel Comune di Refrontolo erano 204, passati poi ai 387 del 2010. Nessuno di noi ha però tracce di cambiamenti di destinazione d’uso dei boschi. La riconversione è praticamente impossibile e comunque bisognerebbe passare dalle forche caudine della forestale». I dati citati da Barison indicano una superficie raddoppiata. E basta avvicinarsi al Molinetto della Croda per osservare un alternarsi continuo di vitigni e boschi. Antonio Martellone, un trevigiano che abita da una vita a poche centinaia di metri dal torrente Lierza, ammette: «Il processo è stato ondivago. Quarant’anni fa si spiantavano le vigne per i seminativi. Da vent’anni a questa parte il fenomeno si è capovolto: via i seminativi e i campi, dentro le vigne del Prosecco». Nulla di male, le vigne non sono cemento. E le nuove metodologie di trapianto delle barbatelle, assicura Barison, «cercano in tutti i modi di garantire il drenaggio dell’acqua». Resta il dubbio amletico se una gestione più attenta di questo luogo incantato avrebbe risparmiato la vita ai quattro trevigiani travolti dalla furia delle acque. Le strutture metalliche che sostenevano il tendone sono state trascinate lungo il Lierza. Il torrente ingrossato dalle acque che normalmente precipitano in questa piramide rovesciata ha trascinato con sé decine di alberi secolari. Per tutta la mattinata i vigili del fuoco con la muta da sommozzatori e i caschi si sono fatti largo lungo il torrente armati di una motosega. Sugli argini tre cingolati della Volvo che raccoglievano tonnellate di rami, pezzi di vigna e pezzi metallici. Mentre al molinetto si lavorava alacremente, nella sede del Comune di Refrontolo andava in scena un duello a colpi di fioretto tra il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti e il governatore Luca Zaia: il tema della divergenza, sempre sul filo del sorriso e delle battute politicamente corrette, i 2,3 miliardi che la neo struttura di missione per il dissesto idrogeologico voluta dal premier Matteo Renzi ha individuato tra i fondi che le Regioni non sono state in grado di spendere. Galletti fa precedere le sue dichiarazioni da un apprezzamento per la bellezza del molinetto («posto meraviglioso»).

Una parte di questi fondi sarebbe imbrigliata nelle procedure del patto di stabilità, un’altra nelle pastoie burocratiche, l’ultima, infine, sarebbe frutto dell’incapacità di spesa delle Regioni. Zaia non lascia cadere l’occasione. E coglie la palla al balzo: «Caro ministro, visto che il Veneto spende fino all’ultimo centesimo dei soldi che arrivano, compresi i fondi per il dissesto idrogeologico, perché non istituite un sistema premiale che dirotti sulle istituzioni più virtuose i fondi che molti miei omologhi non riescono a spendere?». Galletti annuisce e aggira l’ostacolo promettendo che da ora in poi, almeno alla voce spese, il governo starà col fiato sul collo delle Regioni inadempienti. È una sorta di tregua, sulla quale i duellanti rimandano l’appuntamento a data da destinarsi. Questo è il momento della riflessione e della ricerca delle cause che hanno generato questo ennesimo disastro.

Marco Borga, esperto di idrologia delle piene dell’università di Padova, è ottimista: «Entro una settimana avremo tutti i dati indispensabili per capire la genesi di questa tragedia. I due radar meteorologici di Teolo, sui Colli euganei, e di Concordia Sagittaria, al confine tra Veneto e Friuli, entrambi non lontani da Refrontolo, ci aiuteranno a risalire le cause del disastro».

Tutti se lo augurano, e non solo a Refrontolo. Tutti pretendono ostinatamente di capire come il luogo dove si celebrava l’amicizia, la spensieratezza e la gioia possa essersi trasformato in un inferno di fango e morte.

Una immagine area dei soccorritori a Refrontolo, in provincia di Treviso, dove la furia delle acque del Lierza si è riversata tra sabato e domenica contro i partecipanti a una festa in località “Molinetto della Croda” Sotto, Vigili del Fuoco e tecnici osservano il torrente

Il sole 24 Ore – 5 agosto 2014

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