Loro vorrebbero continuare a lavorare, davvero. Ma c’è una lettera firmata dal segretario generale, dal suo vice e dal responsabile dell’ufficio legislativo di Palazzo Ferro Fini che glielo impedisce. E pure alcune sentenze della Corte costituzionale. E le tensioni nella maggioranza. E gli strascichi delle liti sul bilancio.
E la campagna elettorale, che già imperversa. Insomma, i consiglieri vorrebbero continuare a lavorare, davvero. Ma proprio non possono. Un dispiacere solo in parte lenito dal fatto che lo stipendio, almeno quello continuerà ad arrivare fino a fine legislatura. Il che non significa fino al giorno del voto, il 31 maggio, ma fino alla proclamazione dei nuovi eletti, il che di solito accade un paio di settimane dopo (l’insediamento del consiglio slitta invece di un mese, all’incirca). «Io non mi rassegno – s’incaponisce il presidente dell’assemblea Valdo Ruffato – secondo me una seduta si può ancora fare. Magari di un giorno soltanto, magari solo su questioni di ordinaria amministrazione che non siano focolaio di baruffe, ma si può fare. Si deve fare». Sembra l’unico a crederci, però.
I capigruppo si sono riuniti ieri con l’intenzione di mettere a punto l’ordine dei lavori del consiglio convocato da Ruffato per oggi e domani. In coda, dopo l’estenuante maratona sulla manovra, ci sono provvedimenti importanti, alcuni dei quali licenziati dalle commissioni all’unanimità: il piano rifiuti, lo stop alle trivellazioni in Adriatico, la legge sullo sport, quella sull’editoria e il sistema radiotelevisivo. Dopo pochi minuti, raccontano, già si era capito che non sarebbe finita bene. La maggioranza, ormai, esiste solo per retaggio; il clima, dopo le liti furibonde della scorsa settimana, è dei peggiori; ci sono gli impegni dei consiglieri nei collegi elettorali; e poi c’è la lettera dei tecnici secondo cui la legislatura si sarebbe ufficialmente chiusa il 28 marzo scorso, a 5 anni esatti dal voto del 2010, e nel regime di proroga attuale si potrebbero adottare solo gli atti necessari, urgenti e indifferibili (come il bilancio, per l’appunto) mentre qualunque altra deliberazione potrebbe essere impugnata e invalidata per carenza di legittimazione dell’aula. Specie ora che i comizi elettorali sono stati convocati. Risultato: Ruffato ha preso atto e ha revocato la seduta (con un certo dispiacere del decano Carlo Alberto Tesserin, che dopo 25 anni aveva preparato un toccante discorso di addio), seguito da note ufficiali che sentenziavano inequivocabili: «Il consiglio non si riunirà più in questa legislatura». Ma poi l’incipit è stato corretto: «Non si riunisce più questa settimana». Anzi no: «E’ rinviato alla prossima». Perché martedì ci sarà un’altra capigruppo e lì si tenterà di nuovo di convocare l’assemblea dopo il 25 aprile, su un ordine del giorno all’acqua di rose (di sicuro, dunque, non ci sarà il piano rifiuti, portato avanti dall’assessore «tosiano» all’Ambiente Conte e osteggiato dalla Lega). Quante chance ha di passare il «lodo Ruffato» giustificato (soprattutto) dai timori di perdere la faccia di fronte ai veneti? Poche, a sentire i capigruppo: «Non è una libera scelta ma una decisione imposta dalla segreteria generale e dall’ufficio legislativo – avverte Piergiorgio Cortelazzo di Fi – e comunque non siamo mica stati noi ad allungare la legislatura di due mesi ma Renzi». Lucio Tiozzo, Pd: «Valuteremo se esistono le condizioni per un’ultima seduta ma senza una maggioranza è dura andare avanti: non sono d’accordo su nulla, ogni legge rischia di tramutarsi in un Vietnam». E la figuraccia, se si vuole, sarebbe perfino peggiore.
Si vedrà se i consiglieri riusciranno nel loro intento di lavorare fino alla fine o se invece, «controvoglia», saranno costretti a lasciar perdere. In ogni caso, come si diceva, lo stipendio è assicurato: 8 mila 500 euro netti al mese per 60 consiglieri fa 510 mila euro, un milione di qui alla proclamazione dei successori, che sale a 1,6 milioni se si calcola il lordo che pesa sulle casse della Regione (compresa la diaria, e cioè i rimborsi per andare e tornare dal Palazzo anche se dal Palazzo non si va e non si torna più). E pensare che fino a ieri si sono accapigliati per spostare 50 mila euro tra le voci del bilancio, mentre Moretti e Berti fanno a gara, insultandosi, a chi sforbicerà di più gli sprechi della politica…
Marco Bonet – Il Corriere del Veneto – 15 aprile 2015