Agevolazioni ed esenzioni fiscali per settori produttivi e cittadini valgono oggi 161 miliardi di euro l’anno ma un intervento su questi importi non si presenta semplice. Spazi per risparmi sembrano esserci in agricoltura, nell’autotrasporto, nelle cooperative, però per trovare anche solo 900 milioni serviranno interventi coraggiosi. Il commissario Gutgeld e il consigliere di Palazzo Chigi Perotti presenteranno un cocktail di misure, poi le scelte saranno politiche
La si potrebbe chiamare, se solo fosse così semplice, la soluzione all’uno per cento. Trovate quell’uno per cento nella matassa da 161 miliardi di sgravi fiscali e la spending review, l’operazione che mai nessun governo è riuscito a realizzare in modo stabile e intelligente, forse sembrerebbe più facile. In Italia la montagna delle agevolazioni e esenzioni fiscali per settori, gruppi d’interesse o cittadini in condizioni particolari oggi vale per l’esattezza 161,14 miliardi di euro l’anno (contro 442 miliardi di entrate tributarie). Molti di questi sgravi sono logici, altri meno, altri ancora sembrano solo ciò che sono: indifendibili regali. Eppure forse basterebbe trovare appena un centesimo di risparmi dentro questa enorme riserva di misure ad hoc per far quadrare a settembre i conti della più delicata operazione di taglio alla spesa degli ultimi anni.
La manovra d’autunno
Palazzo Chigi ne ha decisamente bisogno. Dopo l’annuncio di Matteo Renzi che nel 2016 sarà tagliata la Tasi, l’imposta comunale sulla casa, sta maturando nel governo la convinzione che servirà una manovra da 23 miliardi di euro. Ma essa potrebbe implicare meno sacrifici, e magari più deficit, di quanto non suggerisca una cifra del genere. I conti sono presto fatti. Sedici miliardi vanno trovati per non far scattare gli aumenti dell’Iva già innescati per legge, ma di questi (sulla carta) due dovrebbero venire dalla minore spesa per interessi sul debito e quattro dalla maggiore crescita dell’economia. Dieci miliardi di risparmi toccano poi alla “spending review”. Quanto ai sette che restano per arrivare a 23, essi dovrebbero servire per cancellare la Tasi, per un’iniziativa contro la povertà o per far partire un altro treno di decontribuzioni sui nuovi assunti con contratti permanenti. Ma queste misure hanno già l’aria di quelle da finanziare all’antica, in disavanzo.
È dunque inevitabile che una solida revisione della spesa da 10 miliardi diventi il muro portante della tenuta dei conti, e della credibilità dell’Italia in Europa o sui mercati. Il commissario alla “spending review” Yoram Gutgeld e Roberto Perotti, consigliere di Palazzo Chigi, presenteranno al governo un menù di misure di quella portata. Poi le scelte e le responsabilità saranno solo della politica.
Per ora lista delle voci candidate ai tagli è un dosatissimo cocktail di misure potenzialmente popolari, unite ad altre indigeste: c’è “mancato aumento” della spesa sanitaria, un intervento in nome dell’efficienza sul trasporto pubblico e sui servizi pubblici locali, un altro sugli acquisti di beni e servizi, una stretta sui ministeri e sui compensi dei dirigenti a tutti i livelli, un lavoro su Anas e Ferrovie dello Stato, e poi le pensioni di invalidità.
Ma la partita sulle agevolazioni e quella sulle società partecipate saranno il vero test. Anche e soprattutto delle resistenze che si preparano.
Lo sgravio fiscale ai partiti
L’enorme impatto delle agevolazioni fiscali, come emerge dal bilancio di previsione dello Stato per il 2015, può dare l’impressione che sia facile trovare dove tagliare. Certe voci aspettano solo la ghigliottina: prima fra tutte, una leggina del ‘72 che permette ai partiti di non pagare “concessioni governative” quando siglano atti costitutivi o statuti. Vista la proliferazione delle sigle politiche, si direbbe che lì c’è del grasso da tagliare. Ma un governo che ha bisogno di miliardi, non solo di milioni, deve partire dai settori destinatari degli sgravi più pesanti. In cima ci sono le assicurazioni, che grazie a una legge del 1961 godono di tre tipi diversi di esenzioni sulle polizze, specie del ramo vita, per un totale da 2,3 miliardi. Ma qui intervenire è quasi impossibile, perché significherebbe colpire milioni di clienti assicurati e non solo le compagnie. Considerazioni simili valgono per le banche, che dal 1973 lavorano i mutui casa sulla base di un’«imposta sostitutiva». Quello sgravio costa due miliardi l’anno, ma eliminarlo colpirebbe in primo luogo chi compra casa.
Le 13 esenzioni all’agricoltura
Spazio per generare risparmi sembra invece esserci in agricoltura, che gode di 13 diversi tipi di esenzioni per un totale di 2,3 miliardi. Margine di manovra anche nell’autotrasporto: qui una legge del 2007 garantisce riduzioni da 1,14 miliardi l’anno sulle accise per il carburante e ora, con il barile ai minimi, forse anche quello sconto può essere sforbiciato. Resta da vedere se il governo in autunno oserà affrontare categorie che in tutt’Europa, a più riprese, si sono dimostrate capacissime di protestare bloccando le città e le autostrade a forza di mezzi pesanti. Resta poi un punto interrogativo sulle cooperative: grazie a una legge del ‘73, per quelle agricole c’è uno sgravio che vale 88,5 milioni l’anno ma per tutte le altre sono centinaia di milioni (il bilancio dello Stato specifica). Anche questo è un settore dove intervenire ha senso, ma creerebbe nuove tensioni nel partito di Renzi.
Gli editori hanno sgravi per 173 milioni, i tassisti per 30, i benzinai per 110, i gestori di cinema per 26, e le famiglie benestanti – in nome di una certa idea di giustizia sociale all’italiana – hanno deduzioni da 133 milioni sui contributi versati per la tata e la badante. Poi ci sono aree in cui tutto ciò che accade in Italia è solo una reazione all’Europa: gli armatori hanno crediti d’imposta per 180 milioni solo perché anche la Grecia detassa i suoi (ma non vanno ritirati ora che Atene cambia strada?). Le compagnie aeree hanno sconti da 1,5 miliardi sul carburante, perché così fanno Francia e Germania. E il trasporto marittimo, pesca d’altura inclusa, ottiene sgravi da 600 milioni per reggere la concorrenza europea.
Insomma, per trovare anche solo 900 milioni di risparmi sulle agevolazioni il governo dovrà dimostrare molto coraggio. Ovunque spuntano interessi e vecchie abitudini: inclusi i lavoratori di organismi della Santa Sede, come gli addetti dell’Ospedale Bambin Gesù di Roma, che dal 1973 sono esentati dal pagare l’Irpef.
Penalità sulle partecipate
Gli enti locali azionisti delle società partecipate hanno una caratteristica: spesso non si adeguano alla legge. Una norma del 2007 (la 244) imponeva loro di uscire dalle attività estranee alle loro “finalità istituzionali”. Ma la Corte dei conti mostra che oggi due terzi delle partecipate operano ancora in settori come agenzie di viaggio o pesca, che niente hanno a che fare con i compiti del governo territoriale. E la finanziaria 2015 imponeva loro “piani di razionalizzazione” entro marzo, ma circa la metà degli enti ha ignorato la richiesta. Ora a fine mese un decreto applicativo della riforma della pubblica amministrazione potrebbe di nuovo imporre alle giunte l’uscita dai settori dove deve operare solo il mercato. Questa volta però con una novità in “spending review”: sanzioni per chi ignora la legge, sia esso azionista o manager. E chissà che qualche resistenza alla fine non inizi a cadere.
Il Corriere della Sera – 6 agosto 2015