Si litiga alla Borsa del maiale, made in Italy rischia. Settore non fissa prezzi ingrosso, per 100mila spettro crisi
Ogni giovedì a Mantova, ‘capitale’ italiana del maiale, cinque allevatori e altrettanti macellatori si trovano nella Commissione unica dei suini e fissano il prezzo dell’animale all’ingrosso. Per quasi 5 anni, nonostante una crisi drammatica del settore, il sistema ha funzionato, ma nelle ultime settimane il rialzo dei prezzi ha inceppato il meccanismo, con i macellatori che hanno chiesto al ministero la sospensione di questa ‘Borsa’.
Ora le aziende non sanno su quali quotazioni muoversi e, se tutto si blocca, potrebbero rischiare le grandi produzioni italiane, Dop comprese.
”Finché siamo in estate gli effetti sono limitati – spiega Giorgio Apostoli, responsabile del settore zootecnico della Coldiretti – ma a Mantova si quota l’animale ‘italiano’, che ha caratteristiche e soprattutto alimentazione molto migliori rispetto ai prodotti che ci stanno invadendo dall’estero: senza un prezzo di riferimento il rischio è soprattutto per i piccoli e medi allevatori di rimanere nelle mani dei grossisti, con tanto che provano a rimandare la vendita finché possono”.
Ma gli stagionatori – da San Daniele a Parma, dal piacentino per le coppe alla Toscana per il prosciutto un po’ più salato – hanno i loro tempi. E non possono aspettare all’infinito. L’assurdo di questa situazione è che arriva dopo una crisi drammatica per il settore, che con l’indotto occupa circa 100mila persone. E che si è generata per un leggero rimbalzo dei prezzi. Si era infatti arrivati fino a 1,2 euro al chilo – per animale vivo non macellato – una quotazione che ha portato alla chiusura di molti allevamenti e al forte indebitamento di chi è sopravvissuto. La Coldiretti Lombardia, in rappresentanza di una Regione che copre circa la metà della produzione nazionale, calcola che le imprese del comparto in Italia siano scese a quota 1.200, con perdite nell’ordine del 6% annuo.
La concorrenza da Olanda, Danimarca e Germania è sempre fortissima, ma per produrre le Denominazioni di origine protetta (Dop) che permettono tra l’altro migliori ricarichi per un mercato in crescita anche all’estero, servono animali certificati ‘made in Italy’. Ma il taglio del numero delle stalle ha portato a un calo dell’offerta, a fronte di domanda sempre forte perché l’alimentare, soprattutto di qualità, è uno dei settori che sente meno la crisi economica generale. Così i prezzi dell’ingrosso stanno progressivamente aumentando e, anche se i piccoli allevamenti di grande eccellenza fanno da soli e si muovono si quotazioni fino agli 8 euro al chilo, si deve per forza guardare a Mantova, dove però i macellatori hanno detto stop e tutto è quasi fermo.
”E’ una situazione – spiega Ettore Prandini, presidente della Coldiretti Lombardia – che rischia di compromettere la capacità del sistema italiano di fare fronte alla richiesta soprattutto di suinetti da allevamento, facendo calare la potenzialità produttiva e mettendo a rischio l’essenza stessa di molti tesori agroalimentari del made in Italy”.
Ansa – 27 agosto 2013