Roberto Turno. Una manovra da 2,35 mld per quest’anno che ancora, e chissà per quanto, è nel limbo. I conti 2015 di asl e ospedali che intanto vanno avanti quasi al buio, affidati alle cure di manager di buona volontà (quando ci sono e ce la fanno). Un «Patto per la salute» che un anno dopo è ancora per larga parte in cerca d’autore. L’attesa (e l’intesa ) per i nuovi livelli essenziali di assistenza (i Lea). E la lista infinita di partite (e scontri annessi) squadernate sul tavolo: ospedaletti da abbandonare, reparti doppione e primariati da rottamare; asl da sfoltire col machete come tanto piacerebbe a Renzi; personale da sfoltire ma con tutte le cautele del caso data la delicatezza sociale e sindacale del caso; farmaci nel mirino anche a dispetto del premier e della ministra Lorenzin. E poi: quei nuovi ticket sullo sfondo, che dal prossimo anno costeranno di più ai redditi medio-alti, pensionati e portatori di patologie inclusi, con una manovra 2016 che rischia di portare con sé un nuovo, pesante salasso.
Confermati o nuovi di zecca che siano, i 7 governatori che hanno staccato il biglietto vincente nelle urne di domenica 31 maggio, saranno da subito alle prese con la sfida delle sfide per le regioni: tenere al guinzaglio la spesa sanitaria. Addomesticarla, ma insieme prendersi sulle spalle un welfare della salute destinato a ridimensionarsi. È la partita della vita per i bilanci locali, siano stati o meno ereditati dai governatori e dalle giunte uscenti. Il fatto che la sanità rappresenti anche fino all’80% dei bilanci regionali, soprattutto di quelle ordinarie, la dice lunga. E spiega quanto delicata sia la sfida da raccogliere sull’assistenza sanitaria. Quella sanità che le regioni hanno fortemente voluto sotto la loro ala “protettiva”, ma che alla fine s’è rivelata una palla al piede, soprattutto al Sud dove tra deficit plurimiliardari s’è consumata la disfatta dei disavanzi. Su 31 mld totali dal 2006 al 2013 (ultimo anno di cui si hanno dati sicuri), oltre 22 mld di rosso vanno tra Lazio (10 mld), Campania (4), Sicilia (2,5), Sardegna (2), Calabria (1,2), Puglia (1,5), Abruzzo (464 mln), Molise (340 mln). Anche se non mancano le spie preoccupanti di Piemonte (2 mld) e Liguria (809 mln).
Un circuito perverso, sul quale dal 2010 in poi s’è abbattuto un ciclone di tagli calcolati dalla Corte dei conti fino a 30 mld totali. Che da una parte ha contribuito a far ridurre fortemente i deficit negli ultimi anni, tanto che Campania e Lazio, ad esempio, possono ora dire di aver superato la fase acuta dei deficit e di aver raddrizzato i bilanci annuali. Sebbene il macigno del vecchio debito sia tutto lì da azzerare a colpi di maxi rate di prestiti trentennali. Fatto sta che nelle regioni sotto tutela, perché commissariate o in “semplice” piano di rientro, il livello di assistenza è spesso gravemente compromesso. Con l’aggravante che dove il livello e la qualità delle cure sono più bassi, si pagano più ticket e super addizionali. Per poco meno della metà degli italiani, fatti i conti, la sanità è sotto la tutela del Governo.
Ed è da qui che adesso si riparte. Con tre regioni, tra quelle andate al voto domenica, che sulla sanità sono messe peggio: Campania, Liguria e Puglia. In due di esse – Campania e Liguria – c’è un passaggio di testimone tra schieramenti politici. Ora è tutto da vedere l’effetto che farà il cambio di casacca nelle nuove giunte. E se, e come, influiranno i passaggi di testimone di assessori negli schieramenti confermati.
Non sarà tutto scontato. Anche il risiko delle poltrone che ci sarà tra le regioni per il ruolo di capofila nei singoli settori: la sanità, ora in mano al Veneto, sarà ambitissima. Cosa accadrà da metà giugno, se non o anche più avanti? La “questione tempo” per la ripresa dell’attività del parlamentino dei governatori – e quindi anche della Conferenza Stato-Regioni – d’altra parte non è secondaria. Si dovrà attendere la formazione delle giunte (col rebus di quella della Campania) e il passaggio di consegne dei dossier. Questo per dire che l’intesa col Governo sui tagli da 2,35 mld per quest’anno rischia di allontanarsi ancora. Sempreché si trovi l’accordo tra le nuove giunte. E il decreto legge necessario, più si va avanti, più rischia di allontanarsi. Con l’effetto di spalmare i tagli in pochi mesi dell’anno. Il modo peggiore di iniziare per i neo governatori e di ripartire per quelli confermati.
Il Sole 24 Ore – 3 giugno 2015