Specie protette, no alla licenza di uccidere. Raccolte 55 mila firme per inasprire le pene a chi abbatte animali tutelati, oggi giudicate lievi
Roberto Giovannini. Una valanga di firme per chiedere una nuova legge che introduca il «delitto di uccisione di specie selvatica protetta», atto punito sinora con una contravvenzione. La petizione presentata online dal WWF ha raccolto 55 mila firme, a dimostrazione che il tema è molto sentito. A maggior ragione dopo le recenti uccisioni di orsi e lupi.
Così, l’associazione ambientalista ha messo a punto un pacchetto di proposte legislative che, se approvate, doterebbero lo Stato e le forze dell’ordine di strumenti legislativi e repressivi in grado di mettere fine allo sconcio di chi quasi impunemente può uccidere un orso, un lupo, una cicogna, una foca monaca. Animali sulla carta «super protetti» dalle normative nazionali, comunitarie e internazionali.
La proposta è dunque quella di inserire nel Codice Penale la categoria giuridica di «fauna selvatica protetta» da tutelare con specifiche figure delittuose. Ad esempio, chi abbatte un orso – ne sono rimasti 110 in tutto – oggi rischia un arresto da 2 a 8 mesi, o l’ammenda da 774 a 2.065 euro; con la nuova norma la sanzione sarebbe una reclusione da sei mesi a tre anni.
Si potrebbe così contrastare meglio (con l’allungamento del termine di prescrizione e strumenti di indagine più adeguati, come le intercettazioni) un fenomeno gravissimo: in Italia i reati contro la fauna selvatica protetta rappresentano il 22% del totale di quelli ambientali.
Tra l’altro, proprio in questo periodo al Senato è in corso l’esame del Ddl «collegato alla Legge di stabilità» sulla tutela penale dell’ambiente, che finalmente definirà come delitti atti come lo sversamento di sostanze nocive o il disastro ambientale.
Il WWF chiede poi il mantenimento e rafforzamento del Corpo Forestale dello Stato quale forza autonoma di polizia specializzata ambientale.
Franzen: “I volatili in Italia vittime della cattiva politica. Il Paese amministra male la sua Natura”
Natascia Gargano. «Il falco che ho appeso qui nel mio ufficio è un suo disegno». Suo, cioè di Fulco Pratesi. La persona che nel suo studio di New York conserva alle pareti un bozzetto del presidente onorario del WWF, invece, è Jonathan Franzen. Il premio Pulitzer autore di «Le correzioni» è infatti un grande appassionato di bird-watching e un attivista per la Natura.
Nel 2011 lo scrittore americano venne in missione in Italia, a Cipro e a Malta. Ne venne fuori il bellissimo reportage «Emptying the Skies», pubblicato sul New Yorker.
Cosa le è rimasto impresso del suo viaggio nel Mediterraneo?
«A Cipro mi ha colpito la scala industriale della cattura illegale di uccelli e la relativa inefficacia della repressione da parte delle forze dell’ordine. A Malta c’era una piccola minoranza di bracconieri molto violenti che infliggeva particolare danno ai rapaci migratori. Il posto in cui ho visto i peggiori cacciatori italiani in azione, invece, non è l’Italia, ma l’Albania».
In Italia ha anche incontrato diverse persone impegnate nella lotta ai crimini ambientali. Cosa ricorda di loro?
«Sono rimasto colpito molto positivamente dallo straordinario lavoro di Anna Giordano in Sicilia, dalle meravigliose guardie volontarie del WWF di Salerno e poi dai cacciatori responsabili che si opponevano alla caccia selvaggia e ancora, dagli ex cacciatori disgustati dal massacro degli uccelli da parte dei bracconieri».
Di recente ha scritto che l’Italia ha una «cupa fama internazionale per la sua ostilità verso la fauna alata». Perché?
«Tra gli ambientalisti e all’interno della Commissione europea e della Corte di giustizia c’è una crescente consapevolezza che l’Italia è un cattivo amministratore della Natura, e degli uccelli migratori in particolare. È diventato difficile ignorare le ripetute violazioni della “Direttiva uccelli” in Italia».
Lei è anche intervenuto con un appello contro l’uso di richiami vivi per la caccia…
«L’Italia nel suo complesso ovviamente non è ostile ai volatili, anzi. Centinaia di migliaia di persone hanno firmato la petizione a favore del divieto dell’uso di richiami vivi. Ma la minoranza che rappresenta la caccia è politicamente molto forte. Il problema non è la mancanza di consapevolezza da parte dell’opinione pubblica, ma la sensazione di impotenza di fronte a un sistema politico che funziona male».
Tra tutte le specie, cosa la ha attratta così tanto degli uccelli selvatici?
«Potrei parlare per ore di tutte le ragioni per cui li amo: la loro bellezza, la loro ubiquità, la loro importanza ecologica. Ma forse è più interessante capire perché una grossa fetta di italiani non si appassioni a loro. Per millenni, miliardi di uccelli hanno viaggiato attraverso l’Italia, ogni primavera e ogni autunno, e gli italiani ora non ci pensano più, li danno per scontati. Una seconda motivazione, invece, è da ricercare in un tratto per me negativo del vostro carattere nazionale. Un mio amico americano, indignato per il bracconaggio di uccelli a cui aveva assistito nella campagna italiana, mi disse: “Agli italiani piace uccidere qualsiasi piccola, bella creatura che non li interessi direttamente”. Questo ovviamente non è vero per tutti gli italiani, e nemmeno per la maggior parte. Ma è sicuramente vero per alcuni».
Come spiegherebbe a un bambino che cosa è un «cielo vuoto»?
«La cosa terribile del declino delle popolazioni di animali selvatici, tra cui gli uccelli, è che accade così gradualmente che ci si abitua. Central Park, a New York, mi sembra pieno di uccelli durante la stagione migratoria, ma i vecchi mi dicono che non è niente rispetto a 40 anni fa. Gli esseri umani sono estremamente adattabili, e la mia preoccupazione è che i bambini nati ora non sappiano nemmeno cosa stanno perdendo. Gli unici modi per mostrarglielo è portarli in luoghi dove gli uccelli sono ancora abbondanti, e lavorare sodo per invertire il declino cambiando l’agenda politica, preservando sufficiente habitat e – per quanto riguarda l’Italia – ponendo fine al bracconaggio».
L’intervista è stata realizzata in collaborazione con «Panda», la rivista ufficiale dei soci del WWF
La Stampa – 19 novembre 2014