I provvedimenti allo studio per il pubblico impiego. Il taglio degli statali, via un dirigente su cinque. Riduzione del 10 per cento poi dei dipendenti ministeriali. Saranno qualcosa meno di diecimila entro l’anno e 80-90 mila entro il 2014. In totale, nell’arco di tre anni, la cura dimagrante per il popolo del pubblico impiego (circa tre milioni e mezzo di lavoratori, di cui 700mila nella sanità) sarà di 100 mila dipendenti. In parte accompagnati verso la pensione con il ricorso alla mobilità o con una proroga della riforma Fornero (ancora da decidere) e la gran massa dovuta al riassetto organizzativo e al contestuale blocco del turn over. Per i dirigenti di prima e seconda fascia il taglio sarà più forte, del 20%. Nessuna abolizione anche parziale della tredicesima e per quanto riguarda i buoni pasto verranno tutti ricondotti alla cifra «storica» di 7 euro. Quanti e dove sono i dipendenti pubblici.
Questo è lo schema a cui fino a tarda sera di ieri, eccetto la pausa per la partita Italia-Spagna, stavano lavorando i tecnici di Palazzo Vidoni sede del ministero della Funzione Pubblica. Oggi le varie soluzioni escogitate dagli uomini del ministro Filippo Patroni Griffi verranno analizzate dagli economisti del Tesoro e della Ragioneria generale dello Stato. Poi domani l’incontro con i sindacati e nei giorni successivi la messa a punto del decreto sulla spending review che conterrà anche altre innovazioni. Come la riduzione del 50% delle auto blu, il tetto di tre persone nei consigli di amministrazione nelle società controllate da Stato ed enti locali ma non quotate, l’obbligatorietà della fruizione delle ferie per i dipendenti pubblici (dirigenti compresi) senza la possibilità di compensi sostitutivi, la stretta sulle consulenze introducendo la proibizione di assegnazione di incarichi ad ex dipendenti.
La cifra magica è quella della riduzione del 10% per i dipendenti ministeriali (circa 180 mila) in virtù di quanto deliberato dal governo come esempio da seguire lo scorso 15 di giugno quando ha stabilito lo snellimento della pianta organica della presidenza del Consiglio e del ministero dell’Economia. «Noi dobbiamo essere come la moglie di Cesare – ebbe a dire il viceministro del Tesoro Vittorio Grilli – al di sopra di ogni sospetto». Insomma se vuoi che gli altri seguano, devi dare il buon esempio. Vedremo tra oggi e domani in che modo gli altri ministeri hanno seguito in base al loro impegno di presentare entro il mese un progetto di snellimento.
Lo schema di accompagnamento verso l’uscita per i dipendenti anziani dovrebbe essere il seguente: due anni di mobilità all’80% dello stipendio con alcune procedure che scattano qualora si verifichi la situazione da «esodato». Per esempio, chi matura i requisiti entro il 2014 dovrebbe far valere le regole più favorevoli antecedenti la riforma Fornero. Per lo Stato si tratterebbe di un anticipo di alcuni anni compensato però dal rinvio della liquidazione che verrebbe erogata solo al compimento dei 66 anni.
Dopo la pubblicazione del rapporto Irpa (l’Istituto di ricerche sulla pubblica amministrazione fondato nel 2004 da Sabino Cassese) in cui venivano evidenziati tutti gli sprechi e gli extra costi derivanti dal cosiddetto «capitalismo municipale», cioè quelle migliaia di società controllate dagli enti locali e serbatoi di poltrone per politici trombati, anche l’Upi ha fatto la sua proposta. L’Unione delle province italiane (per altro in odore di tagli e forti accorpamenti) ha segnalato al governo una sorta di «autoriforma» che «garantirà allo Stato 5 miliardi di risparmi» derivanti dalla riduzione delle Province, l’istituzione delle città metropolitane e la riorganizzazione degli uffici territoriali dello Stato». L’Upi ha calcolato che sono ben 3.127 le società, i consorzi ed enti vari – «buona parte delle quali create dal nulla solo per spartire poltrone e gestire potere» – che costano 7 miliardi di euro l’anno 2 dei quali per i consigli di amministrazione.
Roberto Bagnoli – Corriere della sera – 2 luglio 2012
Spending review, giornata cruciale. Il governo decide l’entità dei tagli
Vertice con Monti a Palazzo Chigi per stabilire la portata del decreto atteso entro al fine della settimana. I sindacati sul piede di guerra: “Basta colpire gli statali, hanno già dato”
Si annuncia come decisivo il vertice di governo in calendario per oggi sul tema della spending review. L’incontro, a cui parteciperà anche Mario Monti, dovrà decidere l’entità dei tagli e, quindi, se fare un decreto pesante da 7-8 miliardi (ma la cifra potrebbe arrivare a 10) o scegliere un provvedimento più leggero, da 5-6 miliardi, rinviando il resto del pacchetto all’autunno.
Palazzo Chigi e il Tesoro premono per la prima ipotesi ma le resistenze dei ministeri (in particolare quello della salute), per misure che saranno soprattutto tagli lineari, potrebbe spingere a un intervento in due tempi. Il decreto è atteso dopo gli incontri con parti sociali ed enti locali, rinviati a domani. Riunioni che potrebbero influire sulle scelte del governo, vista anche la forte preoccupazione dei sindacati per le nuove pesanti misure 1, che dovrebbero colpire anche il pubblico impiego.
Così i leader sindacali sono tornati a far sentire la loro voce anche oggi. Gli statali, avverte la segretaria della Cgil Susanna Camusso in un’intervista al Mattino, “hanno già compiuto sacrifici con il blocco per tre anni dei contratti” e “con strette ulteriori la crisi si avviterà su se stessa”. “Cosa diversa – precisa Camusso – è incidere su un miliardo e mezzo di consulenze e società costituite dalle amministrazioni spesso per garantire solo posti di potere ad alcuni”.
Mette dei paletti ben precisi anche Luigi Angeletti. Se fossero confermate le indiscrezioni sulle misure sul pubblico impiego, dice il segretario della Uil intervenendo al Giornale Radio Rai, i sindacati “reagiranno”. “Non possiamo accettare – sottolinea Angeletti – una soluzione sulla parola d’ordine per cui bisogna ridurre la spesa pubblica, che sicuramente è una parola d’ordine popolare e per certi versi condivisibile, in cui gli unici a pagare sarebbero i più deboli, mentre la quantità di denaro che viene sprecata o viene spesa in maniera non efficiente nella pubblica amministrazione è enorme e non dipende di certo dagli impiegati: la pubblica amministrazione non è mica una cooperativa”.
Il leader della Uil non esclude quindi la possibilità di forme di lotta dura per far valere le ragioni del sindacato. “Temo che il proseguimento di questa politica economica del governo – dice – ci costringerà a fare uno sciopero che a quel punto sarà uno sciopero politico, non solo per protestare ma per dire in maniera netta ‘basta’, ovvero che bisogna cambiare la politica economica di questo governo”.
Repubblica – 2 luglio 2012