Paolo Russo. Cancellate le province la spending review della politica punta ora dritto al paradiso dei consigli regionali, dove le seconde linee della politica arrivano a guadagnare il 60% in più del presidente del Consiglio. Renzi lo ha promesso alla prima riunione operativa del suo Governo: gli stipendi di consiglieri regionali e governatori non dovranno superare quello del primo cittadino della città capoluogo.
Cosa significhi lo ha calcolato per noi il servizio politiche territoriali della Uil: Cota, Maroni, Zingaretti & Co. dovranno in media dire addio a seimila euro al mese, l’85% della busta paga, mentre i consiglieri regionali vedrebbero ridursi lo stipendio mediamente di 3.500 euro. Una bella cura dimagrante, ma buona più per mandare un segnale che per le casse dello Stato, che risparmierebbe 44 milioni. Ben più sensibili gli effetti sulle buste paga dei politici regionali. Soprattutto di quelli che dovranno allinearsi ai sindaci che lo stipendio se lo sono già autoridotto. Ben oltre la metà dei 21 capoluoghi, tra cui Torino, dove Fassino lo ha portato da 9.580 lordi mensili a 4.650, mentre Pisapia a Milano è sceso da analoga cifra a 5.930.
Stando così le cose il governatore piemontese (oggi Cota, domani il suo successore) perderebbe oltre 9 mila euro al mese, mentre in Lombardia Maroni dovrebbe dire addio a circa 7 mila euro. Meglio andrebbe al numero uno del Lazio, Nicola Zingaretti, che per allinearsi al sindaco di Roma, Ignazio Marino, lascerebbe sul campo «solo» 4mila euro. Che è poi quello che mediamente perderebbero i governatori delle Regioni più importanti se ci si limitasse ad appaiare le retribuzioni a quelle dei sindaci prima delle autoriduzioni. A tirare di brutto la cinghia sarà anche l’esercito dei consiglieri regionali, che in media perderanno il 48%. Un taglio a paghe che, con poche differenze, viaggiano sui 13.255 euro mensili. E di questi 4.500 sono pure esentasse, come indennità di diaria. Poi ci sono i rimborsi spese, come quelli chilometrici dei numerosi consiglieri che scelgono la residenza più distante possibile dal capoluogo. Per non parlare delle indennità di capogruppo o di presidente di commissione. La proposta di Renzi «rappresenta solo un primo passo, anche se simbolicamente importante, perché – commenta il segretario confederale Uil, Guglielmo Loy – se si vuole veramente puntare al bersaglio grosso occorre partire dalla riduzione del sistema istituzionale e burocratico». In verità un po’ di «spending» le Regioni hanno provato a farla. Prima allineando le retribuzioni dei consiglieri a quelle della più virtuosa Umbria. Poi riducendone il numero. Strada seguita da Lazio, Puglia, Lombardia e Toscana. Che poi hanno però pensato bene di fare una bella iniezione di «esterni» nelle loro giunte. Facendo rientrare dalla finestra quel che era uscito dalla porta.
La Stampa – 28 marzo 2014