Valentina Arcovio. Senza sperimentazione animale si uccide la ricerca biomedica italiana e gli argomenti di chi vuole vietarla o limitarla sono privi di senso. È il messaggio lanciato ieri, in una conferenza stampa al Senato, da un gruppo di scienziati insieme con la senatrice Pd e presidente della Commissione Igiene e Sanità, Emilia Grazia De Biasi, e il senatore Carlo Giovanardi.
L’incontro, promosso anche dalla senatrice a vita Elena Cattaneo, ha voluto chiarire, punto per punto, perché gli animali da laboratorio sono necessari e come l’approvazione delle quattro mozioni – presentate da Sel, dal Movimento 5 Stelle e da alcuni esponenti del Pd allo scopo di «promuovere la cultura contro i maltrattamenti degli animali» – rischi di compromettere il futuro della medicina e la salute dei cittadini.
È stato un appello forte, ma accolto solo in parte. Poco dopo, infatti, le mozioni e gli ordini del giorno in materia sono stati approvati in seguito a una parziale riformulazione del governo, nel rispetto delle direttive comunitarie: è stato quindi cancellato l’impegno di abbandonare progressivamente la sperimentazione animale, mentre resta l’intenzione di investire nelle «metodologie alternative».
Il senso di urgenza e di frustrazione degli scienziati ricordano da vicino gli interventi contro lo scandalo Stamina e, infatti, anche stavolta la logica della scienza si è scontrata con un muro di emozioni. «Sono rimasto sorpreso – ha detto Silvio Garattini dell’Istituto Mario Negri di Milano -: ci troviamo di fronte a un illogico attacco alla ricerca. Quando si parla di metodi alternativi, vengono citati le colture in vitro e l’utilizzo di simulazioni al computer. Sono test che facciamo da tempo, ma che per essere validati devono passare sempre attraverso la sperimentazione animale. Perché gli animali sono “predittivi” dell’uomo, dato che hanno i nostri stessi organi, con sistemi funzionali simili a noi». Inoltre, secondo il farmacologo, quando si parla di metodi alternativi, spesso ci si imbatte in evidenti contraddizioni, frutto della scarsa conoscenza in materia. «Come si può, infatti, dire che gli animali sono lontani dall’uomo – ha precisato – e quindi considerare inattendibili i test condotti su di loro e, invece, pensare che con appena quattro cellule in vitro si arrivi a realizzare un farmaco efficace, per esempio, contro l’insufficienza cardiaca?».
Per i ricercatori, quindi, la sperimentazione resta imprescindibile. «Se possiamo evitare di usare gli animali – ha detto Garattini – lo facciamo. Non siamo torturatori, tant’è che oltre il 70% delle nostre ricerche non li coinvolge. Tuttavia sappiamo che è proprio grazie ai test con gli animali che possiamo usufruire di procedure e farmaci salvavita, come i trapianti e le medicine che hanno trasformato l’Aids da malattia mortale a patologia cronica».
La richiesta del gruppo di scienziati, che hanno raccolto l’appoggio anche di Francesca Pasinelli (Telethon), Dario Padoan (Pro-Test Italia) e Augusto Vitale (Istituto Superiore di Sanità), è stata di mettere da parte l’ipocrisia. «Si parla di animali sacrificati per la scienza, quando per ogni topo utilizzato per i test – ha dichiarato Garattini – si uccidono 300 animali per scopi alimentari. E, per ogni primate per la ricerca, 600 mila animali muoiono per essere utilizzati come cibo. Senza contare i numeri a sette e otto zeri degli animali uccisi con la derattizzazione». A sostenere i test c’era anche Roberto Caminiti dell’Università La Sapienza di Roma, secondo il quale «il loro benessere è sempre stato uno dei pilastri della scienza e questo, oggi, fa parte del Dna dei ricercatori».
È una battaglia tra scienza e politica che non risparmia colpi bassi, come hanno ricordato Nicoletta Landsberger dell’associazione «proRett ricerca» e docente all’Università di Milano e Giuliano Grignaschi di «Research4Life», raccontando quanto le manifestazioni contro la sperimentazione animale siano spesso degenerate. «Quando si parla di scienza, non si decide sull’onda delle emozioni – ha aggiunto la senatrice De Biasi -. Le decisioni vanno sempre prese sulla base di evidenze scientifiche, mentre nelle mozioni presentate per il benessere degli animali ci sono elementi che non possono essere tollerati. Dopo la moratoria in questo settore l’Italia è già penalizzata e i nostri ricercatori rischiano di perdere i bandi europei, perché il nostro Paese non è più credibile».
Tutto questo, secondo gli studiosi, non significa che l’Italia non sia interessata alla ricerca dei «metodi alternativi». «Abbiamo già investito un milione – ha concluso De Biasi – e ancora non siamo venuti a conoscenza dei risultati. Prima di prendere decisioni in questo campo vogliamo essere informati con dati scientifici: dobbiamo liberarci dall’ipocrisia che in Italia non si può fare questo tipo di ricerca. Salvo, poi, ricorrere a quella effettuata all’estero».
La Stampa – 6 maggio 2015