Spending review. Dal piano dei tagli 10-11 miliardi: circa 3 a carico dei ministeri, almeno 2,5 dai beni e servizi, possibili 2-3 dalla lotta all’evasione. Un taglio da un minimo di 1,5 miliardi a un massimo di 2 miliardi. Il contributo degli enti locali alla legge di stabilità, che sarà varata il 15 ottobre e che al momento oscilla tra i 23 e i 24 miliardi, sarà più o meno equivalente all’allentamento del Patto di stabilità annunciato da Matteo Renzi. I comuni per il 2015 sarebbero interessati da un nuovo giro di vite per 1-1,5 miliardi. Altri 500 milioni dovrebbero arrivare dalle Province al di là degli effetti della riforma avviata nei mesi scorsi.
Lo schema sarà simile a quello già adottato dal Governo con il decreto Irpef: nella manovrasaràindicato l’obiettivo di riduzione di spesadacentrare ela fetta attribuibile alla nuova razionalizzazione degli acquisti di beni e servizi, spetterà poi ai sindaci e ai presidenti delle Province decidere comerealizzare i risparmi. Analoga operazione scatterà per i Governatori. Il conto per le Regioni si dovrebbe avvicinare ai 3 miliardi, circa la metàdei quali riconducibili all’intervento sulle forniture Pa. Che interesserà la sanità per 6-700 milioni (convenzioni Ssn comprese) ma non andrà oltre. Per Palazzo Chigi la salvaguardia del Patto per la salute è un punto fermo. In tutto i tagli per enti locali e Regioni dovrebbero ammontare a 4,5-5 miliardi.
Del pacchetto enti locali farà parte anche l’avvio del processo di potatura delle municipalizzate, che dovrebbe garantire almeno 500 milioni nel 2015 e che farà leva sullo stop alle micropartecipazioni e su appositi incentivi per favorire le fusioni.
Gli altri 4,5-5 miliardi di minor spesa arriveranno dalla riduzionedella voci delle singole “missioni” di competenza dei ministeri e dalla revisione delle tax expenditures. I dicasteri dovrebbero garantire almeno 3 miliardi, di cui circa la metà a carico di Istruzione e Lavoro, con gli interventi inserito nel piano di proposte di tagli anticipato dal Sole 24 Ore del 10 ottobre, su cui sono in corso alcune limature mirate. Per arrivare a quota23-24 miliardi, vannoaggiunti gli 11,5 miliardi che il Governo ha deciso di ricavare azionando la leva del deficit ma rimanendo comunque sotto il tetto del 3% e dai 2,5 ai 3 miliardi di maggiori entrate dalla lotta all’evasione sui quali, almeno per una parte, è ancora in corso la trattativa con Bruxelles e non si è ancora concluso il lavoro di valutazione della Ragioneria generale dello Stato. E questo non è il solo confronto in corso con la Ue. Proprio per rassicurare Bruxelles, tra l’altro, la “stabilità”, come anticipato dalla nota di aggiornamento del Def attualmente al vaglio del Parlamento, vincola l’obiettivo di mediotermine del raggiungimento del pareggio di bilancio nel 2017 a una nuova clausola di salvaguardia sulle aliquote Iva e sulle imposte indirette per unammontare di 12,4 miliardi nel 2016, 17,8 miliardi e 21,4 miliardi nel 2017 e nel 2018. Quella fiscale da 3 miliardi per il 2015 eredita dal Governo Letta sarà intanto disinnescata attingendo dai risparmidella “spending” edalla revisione delle agevolazioni fiscali.
La voce principale del piano di tagli da 10-11 miliardi, che è un misto di “spending” e di tagli semi-lineari sulla base della regola Renzi del 3%, dovrebbe essere rappresentata dal nuovo intervento sugli acquisti di beni eservizi. Unintervento che frutterà non meno di 2,5 miliardi (masipotrebbe arrivare anche a 3,5-4 miliardi) con una ricaduta principalmente su Regioni e enti locali. Nella manovraci sarà ancheun mini-pacchetto pubblico impiego. Che potrebbe anche contenere un taglio del 3% delle retribuzioni dei dirigenti pubblici (modulareo conunmeccanismo di sotto-tetti rispetto a quello già in vigore allineato alla retribuzione del Capo dello Stato). Certo lo stop al blocco degli scatti per il personale del comparto sicurezza, che potrebbe però essere prorogato per gli altri dipendenti pubblici, anche se su questo punto è in corso un confronto tra i ministeri dell’Economia e della Pubblica amministrazione. Molto probabile è anche la soluzione alla questione delle uscite degli insegnati con «quota 96» su cui la valutazione tecnica non si è però ancora conclusa.
Un’attenta valutazione è in atto anche sull’inserimento del Tfr in busta paga. Con il trascorrere delle ore aumentano le chances che questa misura possa trovare posto nella “stabilità”. Ma resterebbe da sciogliere un ultimo nodo: quello della garanzia pubblica, perché le bancheconsidererebbero insufficiente quella già operativa attraverso l’apposito Fondo di garanzia collegato al fondo Inps (cui viene destinato una parte cospicua di Tfr) per un’operazione che potezialmente interessa un flusso di liquidazione di circa 11 miliardi l’anno. Di qui l’ipotesi di affiancare alla garanzia Inps una seconda garanzia dello Stato, da coprire con una dote ad hoc o con il concorso della Cdp. Se questo ostacolo sarà superato, l’operazione potrà prendere il via e prevederà la corresponsione anche di tutto il Tfr maturando, su base volontaria, in un’unica soluzione annuale (una sorta di quattordicesima) e mantenendo l’attuale regime di tassazione agevolata.
Tra i nodi da sciogliere c’è anche quello del ricorso a una polizza anti-calamità congaranzia dello Stato in caso di catastrofi. Su questo intervento ci sarebbero però molti dubbi da parte dei tecnici. Strada spianata invece alla proroga dell’ecobonus del 65% e del bonus del 55% per le ristrutturazioni edilizie. Le due agevolazioni avrannouna durata triennale ma dal 2016 dovrebbero gradualmente ridursi.
Il Sole 24 Ore – 12 ottobre 2014