Tasse e multe non incassate: mancano all’appello 70 miliardi, Comuni e Regioni a rischio tagli. I soldi non riscossi saranno compensati da minori uscite
I dati allarmanti della Corte dei Conti investono anche le Province Alla fine i soldi non riscossi saranno compensati da minori uscite
E ancora. Quando l’ormai ex sindaco di Napoli Luigi De Magistris fece la pulizia del bilancio comunale si ritrovò con un buco di 850 milioni oltre al debito complessivo di 1,4 miliardi delle ventidue società partecipate dal Comune. C’erano poste relative a entrate teoriche attese da oltre vent’anni, quando c’era la prima Repubblica e di federalismo fiscale nemmeno si parlava. I residui attivi dunque abbelliscono il bilancio, nascondono l’irresponsabile immobilismo degli amministratori. Ha scritto l’ex revisore dei conti del Comune partenopeo Gianluca Battaglia, secondo quanto riportato nel libro di Luca Antonini “Federalismo all’italiana”: «Una volta provveduto alla notifica il Comune non si preoccupa più di nulla. Mancano controlli e strutture adeguate. Si fa affidamento unicamente sulla buona volontà dei napoletani». Disarmante. E infatti negli ultimi cinque anni il Comune di Napoli, all’insegna del realismo contabile ma anche della propria inefficienza, ha cancellato circa il 30 per cento delle multe non pagate.
Alessandria è finita in default: nel 2010 dichiarava un ammontare di residui attivi pari al 54,6 per cento delle entrate complessive. Un bilancio scritto sulla sabbia, sostenuto dagli “incasserò”. E ora a pagare sono i cittadini che ricevono meno servizi. Ma anche i dipendenti che si sono visti tagliare le retribuzioni La Giunta Crocetta in Sicilia ha registrato nel bilancio 2013, assai criticato dai giudici contabili per le numerose incongruenze, 15 miliardi di residui attivi di cui ben 11 ereditati dalle precedenti gestioni. In Piemonte, durante la giunta del leghista Roberto Cota, nel bilancio del 2012, prima dello scandalo di Rimborsopoli, risultava una somma pari a 4,13 miliardi di residui attivi. Buona parte dei quali — accertò la Corte dei conti — risalivano a quasi dieci anni prima. Insomma che non si sarebbero mai incassati era chiaro a tutti.
L’ultimo è il dissesto del Comune di Viareggio: oltre 50 milioni di debito. Il sindaco Leonardo Betti (Pd) si è dimesso. In “zona Cesarini” per evitare il disastro la Viareggio Patrimonio, società a cui era affidata la riscossione di tasse e multe, disse che aveva da incassare 103 milioni. Non ci ha creduto nemmeno il sindaco che ha parlato di «finanza creativa», “accontentandosi” dei 27,1 milioni di crediti accumulati solo sulla carta.
Ma la pacchia è giunta quasi al termine. L’operazione-verità della finanza pubblica locale è partita: una legge passata durante il governo di Mario Monti, un decreto del 2011 e un secondo decreto (il 126) approvato il 10 agosto scorso, nella distrazione generale, obbligano le amministrazioni a “fare pulizia”: eufemismo per indicare che molti residui attivi andranno cancellati e faranno emergere un deficit. Se per ipotesi esso riguardasse appena un decimo dei residui attivi oggi reclamati dagli enti, nella stima più cauta, per i saldi dello Stato italiano creerebbe un buco da oltre 7 miliardi da coprire al più presto. È possibile, se non probabile, che nei prossimi anni gli accertamenti in arrivo sui conti delle giunte facciano emergere ammanchi ben maggiori. Di qui la sola certezza dell’intero esercizio: sta per produrre la vera, brutale spending review del Paese, perché governatori regionali, presidenti di provincia e sindaci non avranno altra scelta che tagliare un euro dalla spesa per ogni euro di “attivi” che risultano posticci.
Gli amministratori rischiano di non avere altra scelta. La legge ora prevede un “fondo crediti di dubbia esigibilità”. Nota la Corte dei Conti, che da quest’anno ha poteri più stringenti di controllo sui conti delle regioni: il fondo «potrà accompagnare le amministrazioni in disavanzo ‘nascosto’ verso l’equilibrio». I magistrati contabili non ricorrono a giri di parole, per far capire come i residui attivi di fatto hanno aiutato molti enti a falsificare i bilanci: il basso livello di incasso su di essi, scrive la Sezione autonomie della Corte, «integra un permanente vulnus della consistenza dei risultati economico-finanziari ».
Anche per questo, in vista della grande “pulizia”, si stanno facendo i calcoli generali. I residui all’attivo di 7.173 Comuni italiani agli ultimi dati (2012) valevano 33 miliardi di euro, in continuo aumento anno dopo anno. Solo nei comuni campani sfiorano i cinque miliardi, quattro in quelli lombardi e superano i sei nel Lazio: indizio certo di come la grandi città chiudano i bilanci fingendo — si è visto — di credere che stanno per incassare una massa enorme di multe o tasse arretrate. In realtà, stima la Corte, ogni anno va all’incasso solo il 41 per cento dei vecchi residui messi a bilancio (al Sud, il 27 per cento), mentre il resto scivola alla voce “avere” degli anni dopo. Anche se magari quei soldi non si vedranno mai. Per le Provincie, escluse quelle autonome, il conto arriva a sette miliardi.
Ma è sulle Regioni che il calcolo si fa inestricabile. Non esiste una stima credibile della massa totale di residui attivi nei loro bilanci. Non è mai stata pubblicata. Ancora meno è dato sapere quanti di essi siano palesemente inesigibili, cioè falsi. Ma un dato esiste: è il calcolo di quanto le varie Regioni riscuotono ogni anno di quegli arretrati. Una somma colossale, ma in calo: 29,8 miliardi solo nel 2012. Si può ipotizzare che il tasso di riscossione effettiva delle Regioni sia comunque superiore al 41 per cento dei Comuni, intorno al 60 per cento. In questo caso, i residui attivi in mano ai governatori costituirebbero una montagna di circa 50 miliardi di euro. Solo ipotesi (caute), in mancanza di vera trasparenza in merito. Ma se ne saprà di più presto, con la “pulizia” in arrivo e l’”operazione-verità”. Sicuro da oggi è solo che sta per partire una spending review in sordina, molto più profonda (e dolorosa) di quella della Legge di Stabilità.
Per i Comuni sono 33 miliardi di euro, per le Provincie ordinarie sono 7 miliardi, mentre per le Regioni e le Provincie autonome il valore resta indeterminato, ma è sicuramente (di un bel po’) superiore a quota 29,8 miliardi. Il totale dunque arriva a 70 miliardi di euro nella più cauta delle ipotesi. Sono i cosiddetti “residui attivi”, nome burocratico per il più ingombrante degli scheletri nell’armadio della contabilità dello Stato. Dietro i quali c’è un buco potenziale nei conti pubblici ben superiore ai 7 miliardi di euro.
Tecnicamente, si tratta di poste che Regioni, Provincie e Comuni hanno da decenni l’abitudine di riportare all’attivo nei bilanci, in quanto somme da riscuotere: arretrati di tasse, multe non ancora pagate, trasferimenti dal governo non ancora versati o di fondi dell’Unione europea non utilizzati. Sono “residui” perché restano da incassare (almeno) dall’anno prima e una parte importante di essi prima o poi arriverà davvero. Un’altra invece non arriverà mai, specie se i crediti sono vecchi e di fatto inesigibili. Ma con le entrate fasulle si finanziano le spese. Che sono vere però.
I bilanci degli enti locali diventano così il pozzo dei desideri. Prendiamo Roma: nel rendiconto della Capitale per il 2013 sono stati iscritti 408 milioni di entrate sotto la voce multe. Una cifra irrealistica se si pensa che l’anno precedente l’accertato si era fermato a 280 milioni. Roma ha un arretrato di multe non riscosse che supera i 600 milioni di euro, di questi nel 2012 ne sono stati recuperati solo 31 milioni, cioè il 5 per cento. La stragrande maggioranza delle multe non pagate, il Campidoglio, come molti altri Comuni, non le incasserà mai. L’ha detto la Corte dei conti il 21 marzo scorso in un’audizione davanti alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato: «È lecito presumere che una parte non irrilevante di enti comunali continui a conservare tra i propri residui attivi ingenti partite ormai da considerare nella sostanza non riscuotibili, sebbene ancora formalmente non dichiarate inesigibili ».
Repubblica – 13 ottobre 2014