Al di là delle variazioni decimali del Prodotto interno lordo italiano, quella da rilevare è appunto la parola “decimale”. Forse perché sugli ultimi dati congiunturali di ottobre e novembre ci si era un po’ illusi che la fatidica quota “uno” potesse essere lì, a un soffio. Invece non riusciamo ad andare oltre lo 0,8% del terzo trimestre, dando conferma che, pur essendo in presenza della ripresa, questa ha ancora gambe gracili.
Difficile che sul Pil italiano abbia impattato già il peso degli attentati di Parigi del 13 novembre, raffreddando la spesa delle famiglie. E desta sorpresa il pochissimo effetto dei sei mesi di Expo Milano.
La verità ha molte sfaccettature. A fronte di una ripresa sostanziale dei cicli industriali nei distretti manifatturieri delle regioni del Nord, fa da contrappeso la mancata crescita del Centro e Sud Italia. I dati delle locali Camere di commercio su produzione industriale, andamento occupazionale ed export indicano ancora una ampia dicotomia geografica e produttiva. La stessa produzione industriale è poi ancora troppo legata all’estemporaneità delle economie dei Paesi importatori di made in Italy. È bastato un rallentamento della domanda estera per avere ripercussioni pesanti sulle esportazioni, come rilevano le note congiunturali del Centro studi Confindustria.
È evidente che al raffreddamento dei mercati internazionali fa da contrappunto la debolezza dei consumi interni: l’Istat, nei conti trimestrali del Paese, dice che i consumi finali nazionali del terzo trimestre sono cresciuti dello 0,4%. La tendenza è incoraggiante, ma il numero lo è meno. Confcommercio ieri segnalava che nella dinamica del reddito disponbile delle famiglie, nel 2015 sono stati recuperati 134 euro che vanno a incrementare il potere di acquisto. Resta tuttavia un fatto che il dato dell’inflazione di novembre (-0,4% su ottobre e +0,1% su un anno) mette in luce che l’Italia dei consumi non ha il turbo. A giudicare dei dati Anfia, la spesa più importante delle famiglie italiane negli ultimi mesi è l’acquisto di un’auto. Soprattutto per sostituire quella vecchia con modelli più ecologici, dicono al centro Studi Promotor. Altre spese importanti all’orizzonte non se ne vedono.
In un contesto così ricco di incertezze (ora c’è lo spauracchio del terrorismo) è evidente che la componente industriale faccia fatica: la capacità di utilizzo degli impianti oscilla tra il 70 e il 75%, mentre gli investimenti fissi lordi sono in flessione dello 0,4%. Secondo Andrea Goldstein, capoeconomista di Nomisma, il quadro è complesso ma non cupo: «Valuto tre elementi: l’azione di Governo va nella giusta direzione, ma la velocità delle riforme non riesce a convincere imprese e famiglie che il vento sta cambiando; il jobs act e gli 80 euro in busta paga non sortiscono ancora gli effetti desiderati; il quantitative easing della Bce funziona ma l’onda su credito e consumi tarda ad arrivare. Per avere una vera spinta propulsiva bisogna cambiare i fondamentali dell’economia, ma non lo si può fare in due giorni. È importante che l’economia del Paese si sia messa in movimento, ma c’è ancora molta incertezza. L’obiettivo però di una crescita allo 0,9% non è ancora del tutto sfumato».
Il Sole 24 Ore – 3 dicembre 2015