La decisione anche in seguito alle critiche: chiude lo show acquatico. Sarà che il danno di immagine rischiava di pesare più di quello economico. E magari avrà contribuito pure il fatto che, oggigiorno, i bambini preferiscono le giostre mozzafiato allo spettacolo della natura. Fatto sta che, alla fine, ha vinto lo spirito animalista: da quest’anno Gardaland, il primo grande parco divertimenti d’Italia, dirà addio al suo famosissimo delfinario.
Il 6 gennaio Robin, Teide, Betty e Nau, i quattro esemplari cresciuti all’ombra delle montagne russe, si sono esibiti per l’ultima volta, e già in questi giorni è iniziato lo smantellamento della struttura commerciale annessa al Palablu. «Se ne va un pezzo di storia di Gardaland» conferma Danilo Santi, il direttore del parco che sorge a Castelnuovo, sulla sponda veronese del lago di Garda. «I delfini erano una presenza costante già dall’inizio degli anni Novanta. Il loro show è stato visto da milioni di spettatori, al punto che nel 1997 abbiamo deciso di realizzare il Palablù, con millecinquecento posti a sedere».
Ma quelli erano altri tempi: gli animalisti, almeno in Italia, non erano certo in grado di influenzare le strategie aziendali. Oggi è diverso. Il parco divertimenti è di proprietà della Merlin Entertainments, una società inglese che gestisce attrazioni in tutto il pianeta: dalla maxi-ruota panoramica di Londra al più celebre museo delle cere, il Madame Tussauds, fino all’Heide Park di Soltau, in Germania. Particolare motivo di orgoglio – anche per la buona reputazione che hanno fatto guadagnare all’azienda – sono i Sealife: ventisette strutture sparse nel mondo (ce n’è una proprio accanto a Gardaland) che consentono ai visitatori di ammirare da vicino i più belli e rari animali marini. È l’«eco-business». L’obiettivo, realizzato attraverso diverse iniziative, è di garantire ai pesci nati in cattività un ambiente del tutto simile a quello originario, ma anche di proteggere la natura attraverso la partecipazione a programmi di riproduzione e a campagne per la salvaguardia dell’ambiente.
Da qualche anno è però diventato complicato, per Merlin, giustificare la convivenza di due attività apparentemente diverse: una che promuove il rispetto per gli abitanti dei mari e l’altra che «costringe» i delfini a esibirsi per far divertire gli spettatori. In Inghilterra, la pressione degli animalisti si è fatta sentire. E anche in Italia la Lega antivivisezione aveva auspicato la «scelta etica» di chiudere il Palablù, definendolo una «prigione in acqua». Accuse neanche troppo pesanti, se paragonate a quelle lanciate nel 2001, quando Gardaland nell’arco di poche settimane dovette giustificare la morte di tre dei propri delfini.
Ma ora gli animalisti potranno cantare vittoria. «Prima ancora delle pressioni esterne, ha pesato il fatto che Merlin ha nel suo Dna una politica di profondo rispetto degli animali. La scelta di dire addio al delfinario ne è quindi una diretta conseguenza», spiega Santi.
Con una media di 750mila spettatori a stagione, gli show quotidiani registravano sempre il tutto esaurito, sebbene già dal 2006 (quando il gruppo inglese rilevò il parco veneto) lo spettacolo al Palablu avesse «virato» verso un approccio più didattico. Ora, Robin e i suoi tre «colleghi» potranno godersi la meritata pensione: l’ipotesi più probabile è che siano trasferiti all’acquario di Genova, anche se l’accordo con la struttura ligure non è ancora stato siglato.
In fase di trattativa c’è anche il futuro lavorativo dei tre addestratori che per anni si sono occupati degli esemplari. La società sembra intenzionata a evitare, per loro, il ricorso alla cassa integrazione.
Infine, dopo lo smantellamento del negozio, gli operai metteranno mano anche al Palablù. «Ne ricaveremo un’arena – conclude il direttore – in grado di ospitare nuovi spettacoli, che non avranno per protagonisti gli animali. Una delle ipotesi è di utilizzarla per proiezioni in “4D”, anche se non c’è ancora un progetto definitivo».
Scelta giusta. Ma ora non liberateli in mare aperto»
VENEZIA — «Quei delfini, se fossero rilasciati in mare, avrebbero vita difficile, visto che molto probabilmente sono nati e cresciuti in cattività. Non hanno l’esperienza per sopravvivere in mare e difficilmente sarebbero accettati da altri gruppi. Quella di trasferirli all’acquario di Genova è l’ipotesi migliore».
Danilo Mainardi, etologo di fama e docente dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, approva la decisione di chiudere il Palablù di Gardaland.
«I delfini sono animali giocosi e molto socievoli, che si affezionano all’istruttore. E quindi non soffrono più di tanto ad affrontare gli spettacoli. Il problema è invece culturale, perché questi show danno agli spettatori, specialmente ai bimbi, un’idea distorta di quale sia la vita reale di questi animali. Non posso quindi che approvare in pieno la decisione di fermare gli spettacoli»
Corriere del Veneto – 13 gennaio 2013