di Roberto Turno. Sarà la sanità a pagare il prezzo più alto dei tagli da 4 miliardi (più altri 1,65 ereditati dal 2013) alle regioni, inferti dalla legge di Stabilità 2015. In tutto, il Ssn quest’anno perderà l’intero aumento da 2,2 miliardi del Fondo previsto dalla manovra, ma lascerà sul campo anche altri 500 milioni per investimenti. È questa la linea , ma non unanime, dei governatori, in vista dell’applicazione della manovra che prevede un’intesa col Governo entro fine mese, altrimenti sarà palazzo Chigi a dettare gli interventi da attuare in sede locale. L’intesa tra i governatori, insomma, non c’è ancora. Ma dopo il vertice dei governatori di ieri è stata tracciata una rotta che sarà definita nei primi giorni della prossima settimana. Con una Conferenza «straordinaria» dei governatori che potrebbe tenersi mercoledì 28 ma anche con un incontro con il Governo, che dovrà in ogni caso ratificare le proposte delle regioni.
Proposte che palazzo Chigi, e soprattutto il ministero dell’Economia, peseranno con molta attenzione. Forse non tanto sull’azzeramento dell’aumento del Fondo sanitario – misura che peraltro il ministro Beatrice Lorenzin, sostenitrice dell’aumento delle risorse, ha detto a più riprese di non gradire – quanto sull’insieme degli altri interventi che i governatori hanno in agenda. Oltre ai tagli alla sanità, infatti, tra le proposte c’è l’utilizzo di circa 1,5 miliardi di fondi Fas anche per la spesa corrente e ancora un sollievo da 1 miliardo che arriverebbe dal «patto verticale incentivato» con i comuni. In bilico ci sarebbero altri 150 milioni inizialmente destinati a investimenti per il trasporto pubblico locale.
Fin qui le proposte esaminate ieri dai governatori. Con quel “pacchetto sanità” che è politicamente e socialmente il più scomodo. Sebbene Debora Serracchiani (Friuli, vice segretario Pd e renziana di ferro) si ostini a dire che «non si tratta di tagli, ma di rinuncia all’aumento». Mentre Luca Zaia (Veneto) mette in guardia i colleghi: «Ora si va sulle barricate» e fa sapere con l’assessore Luca Coletto che «il no del Veneto è a verbale, non c’è una unanimità». Segno di una trattativa difficile, cui si aggiunge quella che per Stefano Caldoro (Campania) è la vera partita politico-istituzionale in corso: «Il futuro delle regioni. Pian piano – dice – ci stanno sfilando tutto».
Il Sole 24 Ore – 23 gennaio 2015