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Terremoto, risarcimento beffa all’operaio ferrarese morto: 1936 euro

Quanto vale la vita di un uomo di 35 anni, morto sul lavoro, mentre sostituiva un collega? Un uomo che non era sposato, non aveva figli e abitava con i genitori? La risposta: 1.936 euro (ossia il rimborso, e anche parziale, delle spese funerarie) è arrivata dall’Istituto nazionale contro gli infortuni sul lavoro ai genitori di Nicola Cavicchi, l’operaio di San Martino, in provincia di Ferrara morto sotto le macerie della Ceramica Sant’Agostino nella notte dello scorso 20 maggio: la notte della prima scossa del terremoto d’Emilia.

Se è vero che la vita non ha prezzo la morte, almeno per legge, ne ha uno. A farlo, lasciando stare le assicurazioni private, è (almeno per chi è morto lavorando) l’Inail. L’istituto a cui, scorrendo col dito le varie voci delle buste paga, vengono versati contributi a tutela dei dipendenti. Il valore della vita di questo giovane l’Istituto lo ha calcolato tenendo conto del fatto che morendo non ha lasciato una famiglia: non aveva figli e moglie da mantenere, ma viveva con i genitori. Risultato: 1.900 euro. Ma per la famiglia questi due zeri dopo un 19 sono troppo pochi e sono moralmente inaccettabili per la famiglia. Così ieri Bruno Cavicchi, il padre dell’operaio, ha incontrato Oreste Tofani, presidente della Commissione di inchiesta del Senato che si occupa proprio di infortuni sul Lavoro. A lui ha raccontato di quell’assegno, a lui ha chiesto spiegazioni per poi lasciarsi andare a un comprensibile sfogo: «Ai familiari delle persone morte sul lavoro non spetta nessuna somma di denaro se il parente deceduto, in questo caso mio figlio, non contribuisce al sostegno della famiglia». Ora Bruno Cavicchi sta pensando di chiedere udienza al prefetto di Ferrara e consegnargli quell’assegno: «Con quei soldi non ci abbiamo pagato neanche i santini distribuiti il giorno del funerale di mio figlio».

Il padre dell’operaio morto nel ferrarese e risarcito con 1.936 euro: la mia battaglia è per tutti gli operai d’Italia

«Mi hanno dato 1.936 euro per il funerale di mio figlio, cosa vuole che me ne faccia? Noi per il funerale ne abbiamo spesi 13mila tra santini, marmista, bara e tutto il resto. E adesso l’Inail mi manda a casa un assegno da meno di due mila euro. Che non è per i soldi sa? Cosa vuole mai, noi siamo gente onesta, siamo gente di campagna abituata a fare sacrifici, a risparmiare su tutto da una vita. Io protesto, voglio restituire questo assegno vergognoso perché voglio che tutti gli operai sappiano che in Italia funziona così, che tu vai a lavorare tranquillo e pensi che se ti succede qualcosa i tuoi cari almeno avranno un rimborso, e invece no».

Bruno Cavicchi è il papà di Nicola, il primo operaio morto nel terremoto dell’Emilia del 20 maggio scorso mentre stava sostituendo un collega al turno di notte alla Ceramica Sant’Agostino. Anche Bruno, come suo figlio, ha fatto l’operaio, poi è diventato impiegato, ma sempre uomo di fabbrica era ed è rimasto.

Dignitoso di quella dignità di chi si è spaccato la schiena per una vita per lasciare qualcosa ai suoi figli e, all’improvviso una mattina all’alba si sveglia avendone perduto uno. Aveva 35 anni Nicola e ancora per poco avrebbe vissuto in casa con suo padre e sua madre: «Nicola è morto di domenica e il giorno dopo, il lunedì, sarebbero iniziati gli ultimi lavori di ristrutturazione della sua casa – racconta la sua mamma, Romana – sarebbe andato a viverci con la sua ragazza, le aveva parlato al telefono fino alle 2 di notte: due ore dopo il terremoto e Nicola è morto così». E ora i suoi genitori, che aveva sempre aiutato contribuendo alle spese, si trovano alle prese con i debiti per un mutuo necessario all’adeguamento sismico di casa e senza più il becco di un quattrino da parte. «Dicono che se uno non è sposato e non ha dei figli allora il rimborso è di 2.046 euro – riprende Bruno – a me l’Inail ne ha dati 1.936, 110 in meno e si sono anche sbagliati perché c’è una normativa datata primo gennaio 2012 che stabilisce un rimborso di 2.046 per i casi di morte come quelli di mio figlio. E sa cosa mi hanno risposto dall’ufficio di Ferrara quando ho fatto presente la cosa? Che loro non lo sapevano». Danno e beffa, in questa storia vanno a braccetto con il dolore.

«Mio figlio, signorina, non me lo ridà più nessuno io ho 70 anni e mia moglie, che è ammalata, 66 viviamo con 1.200 euro, Nicola ci aiutava e certo che ora quell’aiuto ci manca. Ma davvero non è per quei soldi che sono arrabbiato: voglio che tutti gli operai lo sappiano cosa rischiano se gli succede qualcosa. Vorrei che i politici, i sindacati facessero qualcosa, per Nicola e per noi non si fa più in tempo, ma per gli altri si deve fare in tempo. Noi eravamo una famiglia unita: eravamo come un tavolo con quattro gambe, io mia moglie e i miei due figli. Adesso ci hanno tolto una gamba e non so come faremo, spero solo che quello che è successo a noi, anche l’umiliazione di questo assegno che voglio consegnare al prefetto perché lo restituisca formalmente, non succeda mai più a nessun lavoratore».

Ilsole24ore.com – 20 settembre 2012

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