Gutgeld, consigliere economico di Palazzo Chigi: «Questa operazione o si fa nella legge di stabilità oppure è destinata a saltare»
Non solo un accordo quadro tra istituti finanziari e imprese per un’apertura di credito ma anche la concreta possibilità di fornire alle banche una garanzia pubblica sulle somme anticipate dai datori di lavoro per liquidare il Tfr direttamente in busta paga. È quanto ha precisato ieri il consigliere economico di Palazzo Chigi e deputato Pd, Yoram Gutgeld, intervenendo alla trasmissione televisiva Omnibus su La7. Il consigliere ha chiarito che senza una garanzia pubblica l’operazione del trattamento di fine rapporto liquidato direttamente nei cedolini dei dipendenti privati non si farà. Non solo. Anche sui tempi Gutgeld è stato categorico: l’operazione Tfr «o è dentro la legge di stabilità» oppure salta.
Sulla possibilità, poi, che la liquidità necessaria alle imprese per pagare il Tfr mese dopo mese ai dipendenti possa essere finanziata con i prestiti Tltro della Bce va registrato l’intervento del Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco (si veda anche a pag. 2): «Le banche sono libere» di decidere in che maniera impiegarli, a patto che siano destinati alle Pmi.
Arriva il sostegno all’Esecutivo di Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat Chrysler: «L’obiettivo è giusto, le cose vanno riequilibrate, l’Irap non può reggere, è il più grave disincentivo per gli investimenti delle imprese nel brevemedio periodo. Bisogna però appoggiare il governo. La direzione giusta è dare più liquidità al sistema e soldi ai dipendenti». E questo anche se l’anticipo del Tfr in busta paga ha conseguenze significative sui bilanci di un’azienda: «Capisco l’obiettivo di Renzi – ha aggiunto Marchionne – di creare le condizioni a sostegno della domanda, che è buono, ma credo che avrà un impatto negativo su Fiat».
Decisamente contrario il patron di Tod’s, Diego Della Valle. «Stiamo dicendo agli italiani: se volete stare meglio anticipatevi una parte del vostro Tfr. A me questa – ha detto ieri ospite di Michele Santoro a Servizio Pubblico su La7 – non piace. Vengo da una famiglia di operai, il Tfr era una garanzia per la vecchiaia, ed un aiuto che i genitori davano ai figli. Farglielo spendere prima con il rischio che non avranno nulla domani, quando saranno anziani e indifesi, mi preoccupa molto».
Nessun problema invece per Telecom. Dare ai lavoratori il trattamento di fine rapporto direttamente in busta paga sarebbe comunque «un importante stimolo per i consumi», almeno secondo l’Ad di Telecom Italia, Marco Patuano, precisando che per la stessa Telecom «l’impatto sui flussi di cassa sarebbe modesto».
Non tutto il sistema delle imprese, dunque, appare contrario al Tfr in busta paga. Per Dino Piacentini, presidente di Aniem, l’associazione delle piccole e medie imprese edili manifatturiere che raggruppa circa 8mila piccole e medie imprese aderenti al sistema Confimi Impresa, «dobbiamo mettere il Tfr in busta paga per intero, magari a titolo volontario e senza tassarlo come la retribuzione ordinaria, ma utilizzando una fiscalità ridotta».
Divisi anche i sindacati. A fronte del sì all’operazione del leader della Fiom, Stefano Landini, che nel marzo scorso aveva rilanciato la proposta direttamente al presidente del Consiglio Matteo Renzi, c’è il no netto della Cgil. Per Susanna Camusso, «se si fa l’operazione del governo sul Tfr chiudono le piccole imprese». Camusso ha precisato ancora una volta che «sono soldi dei lavoratori e nessuno se ne appropri per dire che sono aumentate le retribuzioni. Ci sono molti problemi, tra cui c’è sempre più il sospetto che sia un’operazione per trovare risorse in maggiore fiscalità, invece che un’effettiva concreta restituzione ai lavoratori». No secco anche dalle associazioni dei consumatori che temono una nuova stangata fiscale sulle liquidazioni.
Il Sole 24 Ore – 3 ottobre 2014