L’operazione Tfr in busta paga con ogni probabilità non si farà per il pubblico impiego perché farebbe immediatamente risalire una voce di spesa corrente che i governi degli ultimi cinque anni hanno messo in congelatore con il blocco dei contratti. Il gradino che si creerebbe già a partire dall’anno prossimo con un’eventuale trasferimento immediato del 100% di questo salario differito avrebbe un’altezza di non meno di un miliardo di euro. In attesa di capire quali saranno le scelte concrete del Governo, vale innanzi tutto far notare che, qualora si volessero ricomprendere in quest’operazione anche i dipendenti delle diverse amministrazioni centrali e periferiche e degli enti, ci si dovrebbe limitare a meno del 29% del totale, vale a dire coloro che sono stati assunti dopo la riforma del 2001 e che hanno il Tfr.
Tutti gli altri dipendenti hanno invece il trattamento di fine servizio, Tfs, un sistema di salario differito basato su un sistema di calcolo retributivo che prevede la definizione della liquidazione sulla base dell’ultima busta paga divisa per un coefficiente di trasformazione e moltiplicata per gli anni di servizio.
Esclusa questa maggioranza assoluta, ci sono i 742mila dipendenti pubblici con il Tfr, dai quali occorre sottrarre almeno i 110mila che hanno aderito a uno dei tre fondi di previdenza complementare negoziali del pubblico impiego. Restano circa 632mila dipendenti che non hanno optato per il secondo pilastro previdenziale. Prendendo in considerazione la parte di stipendio lordo utile per il calcolo del Tfr, che è di circa 22-25mila euro medi nella Pa (contro i 33-34mila del privato) e applicando l’aliquota di versamento annuo del 6,91%, si ottiene appunto un flusso di spesa dell’ordine di un miliardo di euro. Un ordine di grandezza che, in vista di una Legge di stabilità 2015, che dovrebbe già prevedere 11 miliardi di maggior deficit (pur rispettando il limite del 3% sul Pil), sembra palesemente irraggiungibile.
Al di là di ogni considerazione sulla nuova disparità di trattamento tra pubblico e privato, l’esclusione avrebbe del resto un illustre precedente che riguarda proprio il Tfs. Per ragioni di finanza pubblica da un paio d’anni ormai la liquidazione degli statali è corrisposta per intero solo se è inferiore a 50mila euro, mentre se è compresa tra 50 e 100mila euro è pagata in due tranche e se supera i 100mila euro viene pagata in tre rate annuali.
Tutto il Tfr in busta paga, scelta ai lavoratori
Dalle banche gli anticipi alle imprese: restituzione al tasso del 2,5% alla fine del rapporto di lavoro
Lavoratori penalizzati da un eventuale passaggio dalla tassazione separata (ora tra 23 e 26%) a quella ordinaria che può toccare il 43%. Tutto il Tfr maturando in busta paga, ma solo su scelta del lavoratore. Sarebbe questo l’ultimo orientamento del Governo sulla possibilità di spalmare il trattamento di fine rapporto che matura mese dopo mese direttamente nella busta paga dei lavoratori dipendenti del solo settore privato. L’esclusione dei dipendenti pubblici, tra l’altro, è stata confermata ieri dallo stesso sottosegretario alla Pa, Angelo Rughetti.
Oltre a “stimolare” i consumi, uno dei primi sostenitori della misura, Stefano Patriarca (ex ufficio studi Inps e già direttore di Ires Cgil), in un articolo su La Voce.info spiega che l’anticipo del Tfr in busta paga potrebbe avere un effetto benefico anche sulle entrate dello Stato. Chepotrebbe incassare subito le imposte sul Tfr e non, come accade oggi, al momento dell’uscita dal mercato del lavoro dei dipendenti. Maggiori entrate che nella sola ipotesi di un anticipo della liquidazione in busta paga del 50% potrebbero valere per l’Erario circa 3 miliardi in più, che diventerebbero tra i 5 e i 6 miliardi se si puntasse a erogare nei cedolini mensili il 100% del Tfr maturato nel mese.
Resta ancora tutta aperta la partita sulla tassazione in capo al lavoratore, che potrebbe essere fortemente penalizzato da un passaggio da una tassazione separata, come avviene oggi con un’aliquota Irpef calcolata sulla media degli ultimi cinque anni (oggi tra il 23 e il 26%), a una tassazione ordinaria ad aliquota marginale Irpef, che potrebbe toccare anche il 43% nei casi di redditi più elevati. A scongiurare ogni aggravio di tassazione è stato ieri sera il responsabile economico del Pd, Filippo Taddei, intervendo ala trasmissione “Ottoemezzo” su La7. Non solo. Taddei ha escluso anche quasiasi penalizzazione anche per le imprese.
E proprio il nodo del sostegno alle imprese e ai possibili effetti negativi in termini di liquidità per le Pmi con meno di 50 dipendenti agita il dibattito. Sempre secondo Patriarca il meccanismo di compensazione per le imprese dovrà arrivare dalle banche o dalla Cdp. Queste potrebbero erogare un prestito a un tasso di interesse equivalente alla rivalutazione del Tfr(oggi pari a circail 2,5%) assente da rischi. Il prestito erogato alle imprese, spiega ancora Patriarca, non presenta rischi di insolvenza dell’impresa in quanto scatterebbe la copertura del fondo Inps. Inoltre le banche oggi possono finanziarsi dalla Bce a un tasso dello 0,05% e potrebbero trasformare questo finanziamento in un flusso di nuove risorse da far arrivare alle famiglie.
Al momento le banche preferiscono attendere il piano del governo. Il Ceo di UniCredit, Federico Ghizzoni, sull’ipotesi di utilizzare i prestiti della Bce per anticipare in busta paga il Tfr precisa che «occorre capire bene il meccanismo complessivo e aspettare una proposta». Per Ghizzoni, poi, è «indifferente se per il Tfrvengano utilizzati i T-Ltro o la liquidità normale. Quello di Renzi è più un messaggiocheuna richiesta tecnica, credo che lo abbia indicato comeesempio. Il messaggio – spiega il Ceo di Unicredit – è: avete preso questi soldi a prezzo competitivo, adesso usateli».
Tra chi invita ad aspettare la proposta concreta del Governo c’è anche il neo-Commissario straordinario dell’Inps, Tiziano Treu: «Credo che ci siano sia pro che contro, in un momento come questo avere qualche soldo in più in busta paga può rappresentare un incentivo ai consumi, ma di contro il Tfr dovrebbe servire a rimpinguare la pensione, così non assolverebbe più a questa funzione. Altro problema è che le piccole imprese in realtà usano il Tfr per finanziarsi».
Ma dalle imprese il coro di no appare sempre più compatto. «Drenare liquidità alle imprese significa metterle in ginocchio», sottolinea il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, intervenendo nel dibattito sul Tfr. «Il sistema delle Pmi, soprattutto quelle che vivono di domanda interna, sta scontando una crisi terribile – spiega Sangalli – per effetto di una pressione fiscale da record mondiale, una domanda per consumi ferma al palo da anni, burocrazia che ne aggrava i costi e ne complica la vita, prospettive di crescita ancora troppo fragili e incerte. E non ultimo un sistema bancario che certo rimane ancora molto timido nel sostenerle».
In allarme anche il mondo delle cooperative. Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative, ricorda che con il Tfr in busta paga si va ad intaccare direttamente la liquidità delle imprese: «Sono interessate oltre il 90% delle imprese cooperative e il 30% delle persone occupate, circa 400mila. Parliamo di risorse importanti: 160 milioni di euro».
Anche dall’opposizione il no all’operazione Tfr è secco. «Il Tfr è dei lavoratori e su questo siamo tutti d’accordo, ma in un momento di stretta creditizia, provate a chiedere un fido a una banca», sottolinea il leader del M5S, Beppe Grillo, nel suo blog; che prosegue: «Toccare quelle risorse significa mettere le imprese in mutande».
Dai sindacati solo la Fiom, con il suo leader Landini, è favorevole, mentre per il resto delle organizzazioni sindacali il Tfr in busta paga fa ipotizzare soltanto un aumento della tassazione per i lavoratori
Il Sole 24 Ore – 2 ottobre 2014