Il precedente. Il 20 gennaio scorso il Cdm ha modificato il calendario venatorio in sei territori per bloccare la caccia agli uccelli selvatici. Non solo tordi, cesene e beccacce. Da quando il nuovo titolo V sarà in vigore il governo potrà sostituirsi con più efficacia alle regioni e agli enti locali. Rispetto ai pochi e limitati casi in cui l’ha fatto finora.
L’ultima volta il 20 gennaio scorso quando l’ha fatto per bloccare la caccia delle tre razze di uccelli selvatici citati. Modificando – su richiesta del ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti – il calendario venatorio in sei Regioni: Liguria, Toscana, Umbria, Friuli-Venezia Giulia, Veneto e Marche.
La scelta di eliminare le materie concorrenti – e dunque di stabilire con più precisione tra Stato e Regioni “chi fa che cosa” – sembra rafforzare implicitamente i poteri sostitutivi che l’articolo 120 della Costituzione affida dal 2001 all’Esecutivo. E che continuerà ad affidargli anche in futuro grazie all’articolo 34 del ddl che ha incassato ieri sera (senza modifiche) l’ok dell’aula di Montecitorio.
Respingendo tutti gli emendamenti presentati, l’assemblea della Camera ha di fatto confermato le novità che erano state introdotte al Senato durante il precedente giro parlamentare. Nel continuare ad assicurare al livello centrale la possibilità di intervenire al posto di quelli territoriali (da intendersi come Regioni, Città metropolitane e Comuni visto che con la riforma le Province spariscono dalla Carta, ndr) la disposizione introduce l’obbligo, tranne che nei casi di «motivata urgenza», di richiedere un parere preventivo del Senato. Parere da emanare entro 15 giorni.
Immutati rispetto al testo attuale sono invece i casi in cui la sostituzione potrà essere esercitata. Vale a dire il «mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della n o r mat i v a comunitaria oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali».
A stabilire le procedure e i termini per l’esercizio del potere sostitutivo continuerà a essere la legge ordinaria. Che – per effetto di una modifica introdotta a Palazzo Madama e confermata a Montecitorio – dovrà anche individuare «i casi di esclusione dei titolari di organi di governo regionali e locali dall’esercizio delle rispettive funzioni quando è stato accertato lo stato di grave dissesto finanziario dell’ente». Insomma far decadere gli amministratori responsabile di un eventuale default.
Fin qui l’articolo 120. Ma nel testo c’è un’altra norma (anche in questo caso già prevista al Senato) che va nella stessa direzione. Si tratta del comma 5 dell’articolo 117 che consente alla legge statale di intervenire in materie di ambito esclusivo regionale «quando lo richiede la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale». E che va letta come una vera e propria clausola di supremazia del centro sulla periferia.
Il Sole 24 Ore – 13 febbraio 2015