Massimo Massenzio. Una goliardata, forse. Oppure qualcosa di diverso, un messaggio che finora nessuno è riuscito a decrittare. Del resto non è facile spiegare il motivo per cui, ieri mattina, in corso Montevecchio, in piena Crocetta, proprio di fronte all’ingresso del liceo scientifico Galileo Ferraris, la testa di un camoscio penzolava dai rami di un albero assieme al resto della sua pelle scuoiata. Un spettacolo per nulla edificante, a cui hanno assistito passanti, professori e soprattutto centinaia di studenti.
Prima di entrare in classe e poi ancora più tardi, mentre seguivano con il naso incollato alle finestre le operazioni dei vigili del fuoco, intenti a rimuovere l’animale e consegnarlo ai tecnici dell’Asl. E ora sono tutti lì a domandarsi che cos’era quella carcassa. Un semplice rifiuto? Oppure era un insulto figurato, destinato ai «fighetti» della Crocetta, quelli che – appunto – frequentano il «Galfer», ultima roccaforte dei cabinotti torinesi? E, senza fare troppa dietrologia, forse questa storia va interpretata così.
E per capirla bisogna partire dalla domanda che si fanno in tanti: «Ma chi è quel pazzo che va di notte a gettar immondizia sugli alberi del quartiere meglio abitato della città?»
«All’inizio pensavo fosse uno straccio» racconta il vicepreside Piero Burzio. «Quando ho capito di cosa si trattava ho chiamato la polizia. Elementi per dire che è un atto contro la nostra scuola, però, non ne ho». L’unica cosa che viene in mente è che, in un certo mondo la parola «camoscio» ha valore dispregiativo: pregiudicato, detenuto, avanzo di galera.
Il giallo
Ovunque stia la spiegazione va riconosciuto che chi ha agito al Galfer lo ha fatto con perizia. Nel cortile della scuola, e lungo corso Montevecchio, sono attive diverse telecamere di videosorveglianza. Nessuna, però, inquadra la zona dove sono stati ritrovati i resti dell’animale. Ieri mattina gli agenti della Digos hanno controllato i primi filmati disponibili, purtroppo senza grosso successo. E al vaglio ci sono anche le testimonianze di chi ha raccontato di essere stato svegliato, verso le 4, da un rumore insolito proveniente dalla strada. Di che tipo? «Mah, un fracasso». Poco compatibile con il lavoro accurato fatto da chi ha infilzato la carcassa sui rami disponendola con cura, in modo che il vento non la facesse cadere. È possibile che si sia servito di una scala oppure sia salito sul tetto di un furgone o di una macchina. Ma nessuno sembra averlo visto.
Selfie e domande
Davanti ai cancelli del Galfer alle 9 del mattino c’è chi scatta un selfie con l’albero come sfondo e chi teorizza. «Uno scherzo, vedrete» taglia corto uno dei ragazzi di quarta. «Quella testa ce l’hanno mandata quelli che di notte si divertono scrivere sui muri» ribatte un altro. E il riferimento è alla guerra a colpi di spray, tra collettivi di sinistra e gruppi di estrema destra provenienti da altri istituti. Una guerra «politica» mai finita. Perchè il Galfer, gli anni ’70, era il liceo dei ragazzi di sinistra. E all’inizio del Duemila fece da sfondo a più di una tensione. E Stefania Barsottini, la preside, è non si lancia in interpretazioni: «La carcassa era fuori dal cancello. E a due passi ci sono altre scuole. Io non mi pronuncio».
La Stampa – 13 gennaio 2015