Dopo la tirata d’orecchi del premier Matteo Renzi al Veneto per le troppe Usl (21), si torna a parlare di ridurle. Tema annoso e mai risolto, che colleziona le quattro «vecchie» proposte di legge presentate (e ormai dimenticate) in consiglio regionale da Giovanni Furlanetto (Prima il Veneto), Sandro Sandri (gruppo misto), Franco Bonfante (Pd) e Pietrangelo Pettenò (Sinistra veneta) e tre progetti più recenti. Tutti salvano l’Istituto oncologico veneto e le due Aziende ospedaliere di Padova e Verona. Il primo, illustrato nel dicembre 2013 ma bloccato in commissione Sanità da Pd e Lega, porta la firma di Leonardo Padrin (FI) e abbassa le Usl a 14: Belluno e Feltre restano, così come Rovigo e Adria, quest’ultima allargata a Cavarzere; la laguna passa da 4 a 2: una per Venezia, Mestre, Chioggia e Riviera del Brenta, l’altra è quella di San Donà, che sopravvive.
La Marca scende da 3 a 2, conservando invariati i confini dell’Usl di Asolo e unendo quelle di Conegliano e Treviso; da 3 a 2 anche Padova, con un’Usl per capoluogo, cintura e Alta Padovana e una per la Bassa.
Dimezza le aziende a 2 il Vicentino: una di montagna per Bassano, Thiene e Valdagno e una di pianura, nata dalla fusione tra l’Usl capoluogo e parte di quella di Arzignano. Il Veronese ne perde una: l’Usl di Legnago e parte della 22 di Bussolengo ne formano una nuova, mentre il resto della 22 si unisce all’Usl 20 della città. Il tutto per un risparmio di 300 milioni. «E’ una battaglia per consiglieri coraggiosi, da portare avanti nella prossima legislatura», dice Padrin.
Poi c’è il piano della Regione, al quale lavora il segretario della Sanità, Domenico Mantoan, insieme a Mauro Bonin, direttore della programmazione. Mission: 12 Usl (due per provincia, una a testa per Belluno e Rovigo) e un’«Azienda zero», ovvero una holding regionale che accentrerebbe le funzioni tecnico-amministrative oggi svolte in proprio da ogni azienda sanitaria. Risparmio: 100 milioni l’anno. La terza proposta è l’emendamento alla legge di stabilità depositato da Piero Ruzzante (Pd), che porta le Usl a 7, una per provincia, per una contrazione iniziale dei costi di circa 63 milioni, relativa alla rinuncia a 30 posizioni apicali per azienda. «Vanno ridisegnati i confini delle Usl, e quindi l’organizzazione dell’assistenza ospedaliera e territoriale, non in base alla spartizione partitocratica ora in essere, ma sulle reali esigenze dei pazienti — esorta Ruzzante —. Giù le mani della politica dalla sanità, motivo per cui finora la Regione ha lasciato invariato il numero delle Usl». «Sì alla revisione, ma non sull’onda elettorale o solo per risparmiare — ribatte Luca Coletto, assessore alla Sanità — bensì per dare risposte funzionali alla gente, che non ne può più di pagare servizi non necessari. Se si rivoluzionano le Usl, si devono aggiornare i servizi e garantire l’omogeneità assistenziale tra ospedale e territorio». «E soprattutto salvaguardare l’integrazione tra sanità e sociale alla base del modello veneto», avverte Claudio Sinigaglia (Pd). «Siamo favorevoli al taglio, ma prima i tecnici della Regione devono studiare le esigenze specifiche di ogni provincia — riflette Federico Caner, capogruppo della Lega — in alcune può starci una sola Usl, in altre potrebbero volercene due».
Ma cosa ne pensano coloro che nella sanità ci lavorano? «E’ un falso problema — nota Adriano Benazzato, segretario dell’Anaao (ospedalieri) — il vero nodo, che però la politica non affronta perchè non crea consenso, è tenere aperti gli ospedali davvero utili, non tutti i 75 attuali. Allora sì si risparmierebbe e si garantirebbe un’assistenza migliore e più sicura. Ma prima bisogna stabilire i Livelli essenziali organizzativi». «I costi si tagliano arrivando a un’Usl per provincia con tutte le specialità, così da evitare convenzioni e indire un unico concorso per personale e acquisti», dice Luigi Dal Sasso, segretario della Cimo (ospedalieri). «Tagli e accorpamenti di reparti non hanno portato a grandi risultati — ricorda Donatella Noventa, a capo dell’Anpo (primari) — e lo stesso accadrà per le Usl, se il taglio non si accompagnerà a una vera integrazione ospedale-territorio». D’accordo Daniele Giordano (Cgil), voce del comparto: «O si riorganizza tutto rispettando i diritti di malati e lavoratori, oppure dare i numeri al lotto è un modo per non parlare di contenuti».
Michela Nicolussi Moro – Il Corriere del Veneto – 14 aprile 2015