E Padova ora è «scomparsa» dal sistema. Tutto tace. Del polverone di polemiche alzato due anni fa sul registro dei tumori del Veneto, di fatto fermo al 1999, non è rimasta che altra polvere, stesa come un velo su centinaia di migliaia di dati e informazioni che non arrivano a destinazione o, quando arrivano, non vengono utilizzati.
Lo strumento, voluto dalla Regione e finanziato sette anni fa con due milioni di euro, dovrebbe avere il duplice obiettivo di fornire supporto alla ricerca scientifica e consentire ai vari apparati della Regione di fare scelte consapevoli di programmazione sanitaria e sviluppo economico. Allo stato dei fatti invece appare un’unica evidenza: dal 1999 a oggi il registro ha coperto meno della metà della popolazione veneta, poche Usl stanno fornendo il supporto informativo e tra quelle che mancano c’è Padova.
L’ospedale punto di riferimento per le malattie oncologiche, bacino di speranze per migliaia di malati di tumore che ogni anno si mettono nelle mani dei medici, ebbene proprio quest’ospedale ancora non partecipa con i propri dati alla elaborazione che ne dovrebbe fare lo Iov, (Istituto oncologico veneto) che ha il ruolo di coordinamento, lettura ed elaborazione delle informazioni per conto della Regione Veneto. E se sul sito del registro dei tumori due anni fa compariva la comunicazione che anatomia patologica non forniva i dati, e per questo la registrazione dell’ospedale padovano al registro era sospesa, ora qualcosa appare decisamente più chiaro: l’ospedale di Padova non compare nemmeno più nella lista delle Usl che collaborano, non compare nella piantina dei territori monitorati. Insomma: Padova, per il registro dei tumori, non esiste.
«E’ tutto a fermo a quanto avevate raccontato due anni fa», conferma la coordinatrice del registro, l’epidemiologa Paola Zambon, riferendosi alla denuncia che partì dalle pagine del Corriere del Veneto nell’estate 2010. «La copertura al momento è di 2 milioni e 300 mila persone (su quasi 5 milioni di veneti, ndr) – conferma Zambon -. Padova? continua a non esserci». A fornire i dati al registro sono le Usl di Belluno, Feltre, Bassano del Grappa, la Usl 12 Veneziana, Mirano, Rovigo, Adria, Vicenza, Castelfranco-Montebelluna e Verona. Restano fuori Usl di tutto rilievo, tra cui appunto l’ammiraglia Padova, con il suo potente carico di numeri ed esperienza. Ma dove sta il gap? Il problema sono i dati che non partono, che non arrivano o che non vengono utilizzati? Quest’ultima ipotesi sembra la più probabile. Il professor Massimo Rugge, che dirige Anatomia patologica dell’ospedale di Padova e che ha il compito di raccogliere e fornire i dati allo Iov, non intende accollarsi respnsabilità: «Dal 2001 dirigo Anatomia patologica 2 e i dati sono sempre stati spediti allo Iov, dal 2010 dirigo anche anche Anatomia patologica 1 e abbiamo lavorato duramente per andare a ritroso e fornire anche i dati di quel reparto – spiega -, se c’è qualcuno che non sta svolgendo il proprio compito, quelli non siamo noi: lo Iov ha tutti i numeri, deve solo rielaborarli».
La replica? «Non ne so niente – risponde la dottoressa Zambon – chieda allo Iov». E lo Iov? Tace. Intanto i padovani, gli abitanti del Veneto orientale, parte dei veronesi e dei vicentini non conoscono l’incidenza dei tumori nelle loro aree. Curare un tumore costa molto, e se non se ne conosce l’incidenza e la diffusione territoriale costa ancora di più.
Roberta Polese – Corriere del Veneto – 9 gennaio 2013