La Commissione europea ha annunciato ieri che l’accordo commerciale con il Canada è una intesa mista, tale per cui deve essere approvata a livello nazionale dai Ventotto. L’alternativa era di considerare l’intesa europea, e quindi chiedere il benestare al solo Parlamento europeo. La scelta, criticata dall’Italia, è giunta sulla scia delle pressioni di molti governi, preccupati all’idea di non poter dare la parola alle proprie istituzioni nazionali in un contesto di crescente euroscetticismo.
«Da un punto di vista strettamente legale – ha detto Cecilia Malmström, la commissaria al Commercio – la Commissione considera che l’accordo è da considerarsi di competenza esclusiva europea. Tuttavia, la situazione politica nel Consiglio è tale per cui capiamo la necessità di proporre l’intesa quale accordo misto, in modo da avere una ratifica rapida». L’intesa commerciale potrà entrare in vigore in via provvisoria non appena vi sarà il benestare del Consiglio e del Parlamento, entro ottobre.
Ciò detto, la ratifica Paese per Paese è pericolosa perché potrebbe essere rallentata da ostacoli nazionali. Cosa succederà se un Paese non ratifica? Potrà l’accordo entrare in vigore nel resto dell’Unione? C’è da dubitarne. In un comunicato, il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker ha precisato ieri di avere preso la decisione dopo aver «guardato alle considerazioni legali e avere ascoltato i punti di vista dei capi di Stato e di governo e dei parlamenti nazionali».
La decisione della Commissione è avvenuta su pressione in primo luogo di Francia e Germania, preoccupate all’idea di assistere a una ratifica solo europea, mentre a livello nazionale cresce l’insoddisfazione per gli accordi commerciali negoziati da Bruxelles. C’è chi ha parlato di «deficit democratico». L’intesa con il Canada prevede l’abolizione di dazi doganali in molti settori. Inoltre, 140 indicazioni geografiche relative a bibite e alimenti beneficeranno di particolare protezione.
Nel proporre la ratifica Paese per Paese, l’esecutivo comunitario ha precisato che da un punto di vista legale la scelta non pregiudica la sua posizione nel caso attualmente discusso dalla Corte europea di Giustizia tutto relativo all’accordo commerciale con Singapore. Ai magistrati in Lussemburgo è stato chiesto di dare una loro valutazione sull’intesa, se debba essere ritenuta mista o europea. Nel chiedere una opinione, Bruxelles ha detto considerare europeo l’accordo con Singapore.
La vicenda ha un significato che va ben oltre l’accordo commerciale con il Canada. Nell’affidare la ratifica ai Ventotto, la Commissione ha fatto una scelta politica comprensibile, ma controversa. Nei fatti ammette una riduzione della propria competenza esclusiva in campo commerciale, e rischia di creare un precedente tale da minare il suo potere nelle trattative che sarà chiamata a condurre nel prossimo futuro, a cominciare dall’accordo di libero scambio con gli Stati Uniti.
La proposta di Bruxelles dovrà ora essere approvata dai Ventotto alla maggioranza qualificata. È possibile modificarla, ma solo all’unanimità. In una lettera indirizzata alla signora Malmström in maggio, il ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda si era detto favorevole a considerare l’accordo una intesa europea pur di evitare un indebolimento dell’esecutivo comunitario in campo commerciale (si veda Il Sole 24 Ore del 16 giugno 2016).
«La decisione di portare in approvazione l’accordo con il Canada come accordo misto e pertanto sottoporlo alla ratifica di circa 38 assemblee parlamentari degli Stati membri – ha detto il ministro ieri – rappresenta un ulteriore danno alla costruzione europea». Ha poi aggiunto: «Ora il processo di ratifica dell’accordo potrà prendere anni e basterà il voto negativo di una assemblea nazionale per farlo cadere. C’è da domandarsi come l’Europa potrà ancora essere considerata un partner negoziale credibile».
Secondo Alessia Mosca, eurodeputata italiana del Partito democratico, Bruxelles ha tenuto «la barra ferma (…) sulla necessità di una provvisoria entrata in vigore una volta avuta l’approvazione di Parlamento europeo e Consiglio europeo: mi sembra una scelta giusta e coraggiosa». Ciò detto, ha aggiunto, «non si può da una parte chiedere a gran voce che l’Unione europea produca risultati concreti mentre, dall’altra, si continua a ritardare la sua azione con appesantimenti procedurali, a volte superflui».
Beda Romano – Il Sole 24 Ore – 6 luglio 2016