L’Ulss 20 ha chiamato a raccolta i medici per fare il punto sulla situazione. Colpiti soprattutto gli stranieri tra i 25 e i 34 anni e gli italiani anziani: l’incidenza registrata è inferiore a quella dell’influenza
Cambia la società e cambia anche l’incidenza di malattie che si credevano dimenticate: proprio partendo da questo dato concreto, legato direttamente al fenomeno migratorio, l’Ulss 20 ha chiamato a raccolta i medici all’ospedale Fracastoro. E lo ha fatto, con una mezza giornata di studio, per riaccendere il faro sulla tubercolosi, o meglio, per rassicurare la popolazione relativamente alla stretta sorveglianza alla quale anche questa patologia è sottoposta. «Nessun allarmismo», chiariscono subito Chiara Bovo, direttore sanitario dell’Ulss 20, e Giambattista Zivelonghi, dirigente medico del Dipartimento di prevenzione dell’Ulss 20, «ma un richiamo a tenere viva l’attenzione su una patologia che resta estremamente poco prevalente e poco incidente e che un’adeguata rete di servizi può mantenere tale se non ulteriormente contenere». Ma allora, da dove si origina l’esigenza, trasformata in corso di aggiornamento da parte della Scuola medica ospedaliera dell’Ulss 20 e della Scuola manageriale in sanità e sociale? «Parte», coma ha spiegato Zivelonghi, «dai dati di Tbc riguardanti cittadini non italiani che hanno superato dal 2008 i casi negli italiani, soprattutto nelle classi di età giovani e adulte, con un picco tra i 25 e i 34 anni». «Ciò si spiega», ha detto Bovo, «con le condizioni delle zone di origine, aree ad alta incidenza per le condizioni igienico-sanitarie e socio-economiche». In Italia, infatti, i casi di Tbc si riscontrano prevalentemente tra gli anziani in quanto associati ad altre patologie che riducono notevolmente le difese immunitarie della persona. Il luogo e il contesto sociale resta una criticità fondamentale per guardare al problema. «L’Ulss 20, attraverso l’Igiene pubblica, lo scorso anno ha effettuato uno screening completo nelle carceri coinvolgendo detenuti, polizia penitenziaria e volontari», ha spiegato Bovo. Carceri come luoghi sovraffollati e con una certa presenza di persone provenienti dai Paesi che stanno nei primi posti della classifica sulla presenza della Tbc. Ma il ragionamento, tenendo presente la particolarità nel contagio da Tbc, vale anche fuori: unità abitative sovraffollate dove le condizioni igienico-sanitarie lasciano a desiderare. «Si è stimato che perchè vi sia contagio a bordo di un aereo, in precise condizioni di prossimità fisica, serva un volo di almeno otto ore». «Ma è fondamentale ricordare», ha chiarito Zivelonghi, «che solo la metà dei casi è Tbc polmonare e tra questi la percentuale di contagio è del 10 per cento. Non solo, non è detto che avere la Tbc sia un elemento di pericolosità: se stiamo a guardare l’incidenza è inferiore a quella dell’influenza. E poi non c’è una correlazione diretta tra le cose: a noi è capitato anche il caso di una bambina italiana di un anno e mezzo con la Tbc che probabilmente aveva preso da una zia che per un certo periodo aveva soggiornato in un Paese estero». La cautela, sul problema, è massima soprattutto perchè non si vuole in nessuna maniera alimentare la falsa equazione tra immigrato e Tbc. «Siamo qui perchè, nei casi di particolari sintomatologie, non vada esclusa a priori anche la Tbc», ha detto Bovo. Insomma, la disabitudine, se così possiamo dire, è la prima criticità da rimuovere: «Ecco il perchè di questo richiamo, per ricordare una volta di più come ci debba essere attenzione e come il territorio sia ricco di servizi nati per lavorare in rete: medici di base, distretti, Unità operativa dell’ospedale “Fracastoro”, internisti, Igiene pubblica e collegamento con l’Unità malattie infettive diretta da Ercole Concia. Su un territorio di 470 mila abitanti qual è quello dell’Ulss 20 territorio», hanno concluso Bovo e Zivelonghi, «è essenziale creare un sistema di percorsi integrati per una diagnostica rapida e una profilassi corretta delle persone e del tessuto che sta loro attorno».
L’arena – 5 giugno 2012