Il presidente della Fnomceo, la Federazione degli Ordini dei medici, Filippo Anelli, ha rilevato ultimamente che il mondo medico sia della convenzione che della dipendenza, abbia manifestato una crescente disaffezione al proprio lavoro. Su questa realtà si sono soffermati anche, con indagini specifiche, i sindacati della dirigenza medica ospedaliera, Cimo e Anaao, confermando il sempre più ampio scontento e la volontà di cambiamento deli medici. Come si può intervenire quindi per frenare questa emorragia non solo di numeri ma anche e soprattutto di professionalità?
Accanto a una corretta riconsiderazione del lavoro e delle sue motivazioni professionali, gli interventi su un welfare per la categoria potrebbero rappresentare, così come avviene nell’ imprese private, anche nel pubblico, un utile strumento per affrontare una crisi sempre più ampia. L’occasione potrebbe essere quella di utilizzare la prossima tornata contrattuale (e anche le convenzioni per i medici del territorio) per introdurre, oltre dalla più parti auspicata detassazione degli aumenti dei rinnovi contrattuali e il riconoscimento del regime forfettario per i proventi da libera professione intramoenia, alcuni elementi idonei a fidelizzare questi professionisti. Costruire, assieme agli interessati, un vero e proprio “welfare aziendale” con un opportuno mix di misure. Un sistema di progettazione, ma anche operativo che consenta di attivare una messa a punto ed anche una successiva implementazione dei piani e percorsi di intervento sia a livello generale che aziendale. Gli esperti, a questo riguardo indicano una distinzione fra intervento occupazionale, con il quale si indica l’insieme delle attività rivalutate o meno erogate ai propri dipendenti semplicemente in virtù dei contratti di lavoro o delle convenzioni – si pensi alla flessibilità oraria e/o organizzativa, al fortissimo disagio derivante da carichi di lavoro abnormi e da una delegittimazione mediatica senza precedenti, all’ eccessivo tempo da dedicare alla compilazione degli atti amministrativi, che sacrifica il tempo dedicato ai pazienti, ritenuto insufficiente dal 40 % degli intervistati – e il welfare aziendale in senso stretto in cui afferiscono gli interventi finalizzati al benessere e alla sicurezza complessiva della persona e che rappresentano una parte sempre più preponderante della scelta della propria attività. L’approccio multi-pilastro di un corretto “welfare aziendale” potrebbe essere così riassunto, anche se in termini generici:
• Pensioni: riduzione dei contributi Inps e Casse dei professionisti (pubblico) + agevolazioni fiscali per fondi pensione complementari (privato);
• Costi per salute: agevolazioni per l’assistenza del Ssn (pubblico) + istituzione di fondi sanitari integrativi (privato);
• Assistenza: prestazioni nazionali e locali (pubblico) + coperture della persona, assistenza ai familiari, interventi sul campo dell’educazione e dell’istruzione, e cura in primis, Ltc (privato).
Il problema è oggettivamente serio e complicato. Non si allude solamente a una disaffezione di medici e dirigenti sanitari verso il proprio “mestiere”. Si tratta, piuttosto, della preoccupante regressione di quella “coscienza di classe” che storicamente ha sempre permesso ai Medici di rispettarsi e di farsi rispettare. Le conseguenze riguardano ovviamente il profilo economico, ma anche un peggioramento complessivo delle condizioni di lavoro.
I medici del Ssn meritano, finalmente, delle risposte concrete e dei segnali chiari di riconoscimento per il ruolo ricoperto all’interno della nostra società. La prima occasione utile per farlo non potrà che essere il processo di rinnovo dei contratti e delle convenzioni.
Il Sole 24 Ore sanità – Claudio Testuzza