La riduzione da due a uno dei medici in servizio di guardia notturno all’ospedale di Rovigo porta, per la prima volta, alla mobilitazione unitaria di tutti i sindacati che, insieme all’Ordine professionale provinciale, sono pronti a integrare temporaneamente il servizio con l’affiancamento di un professionista volontario.
Una modalità, quest’ultima, emersa nell’assemblea dei lavoratori che ha sancito la determinazione dei «camici bianchi» a dare un segnale molto forte, rivolto in primis agli utenti dei nove reparti di area medica del «Santa Maria della Misericordia», con 140 posti-letto per acuti da seguire.
«Forse – spiega Davide Benazzo, Fp (Funzione pubblica) Cgil – questo potrà ricordare un po’ gli scioperi alla rovescia dei tempi di Giuseppe Di Vittorio, ma è chiaro che se i medici sono sottoposti a carichi di lavoro eccessivi, i pazienti non ne traggono beneficio».
Un gesto che si rivolge anche ai vertici dell’Usl 18, a cui è stata messa nero su bianco una lettera sottoscritta dai sindacati dei medici (Anaao-Assomed, Cimo, Fp Cgil), degli anestesisti e dei rianimatori (Aaroi-Emac) e dei radiologi (Snr) con il sostegno istituzionale dell’Ordine dei medici. Non a caso nella missiva, indirizzata all’azienda socio-sanitaria perché chieda alla Regione di mettere in campo risorse, c’è il richiamo all’articolo 70 del Codice deontologico che richiama il medico a opporsi a tutte quelle situazioni che possano mettere a rischio qualità ed equità delle prestazioni.
«Ci mettiamo tantissimo del nostro per garantire i servizi – spiega Guido Senesi, Anaao-Assomed – Spesso si lavora ben oltre gli orari dovuti, ma non può bastare la buona volontà dei lavoratori. Ci viene imposto questo nuovo taglio per fare fronte all’ingresso dei turni europei, di cui si era a conoscenza da tempo. E ci viene chiesto di lavorare su standard stabiliti da una norma del 1991, quando gli ospedali erano molto diversi da oggi e il ricovero non era solo per i malati acuti. Serve un tavolo di concertazione in tempi rapidi».
Posizioni condivise anche da Francesco Noce che lancia un secondo allarme.
«Serve una riforma di struttura – sottolinea il presidente dell’Ordine del Polesine – Nei prossimi 5-6 anni metà dei medici di famiglia ora in servizio andrà in pensione e, dunque, resta difficile capire senza investimenti come fare a garantire quell’integrazione con le strutture ospedaliere che dovrebbe essere cruciale. I soldi, purtroppo, vengono destinati sempre più verso una gestione burocratizzata, a scapito dell’area medica».
Nicola Chiarini – Il Corriere del Veneto – 24 novembre 2015