GRADO. Confcooperative Federcoopesca attacca frontalmente la vendita del pesce dalla barca, tanto da mettere i consumatori in guardia contro i rischi per la salute. L’attacco è rivolto principalmente alla Coldiretti, anche se questa organizzazione non viene citata espressamente ma viene identificata come quella delle “bandiere gialle”.
Coldiretti ha già annunciato che, nell’ambito del mercato “Campagna amica”, accanto ai prodotti della terra ci sarà pure la vendita di pesce direttamente dalle barche dei pescatori, soci della stessa.
Sarebbe «un vero e proprio ritorno al passato», ha denunciato il presidente regionale Federcoopesca, Fabrizio Regeni. Nella nostra regione Federcoopesca associa 16 cooperative con oltre 400 soci.
La vendita diretta del pesce «ci fa fare – ribadisce Regeni – un passo indietro dopo tutto il lavoro che abbiamo fatto, come sistema regionale della pesca e come cooperative in particolare, per mettere in regola dal punto di vista sanitario i punti di sbarco del pescato e i mercati ittici».
Regeni punta dunque il dito verso le organizzazioni che sostengono la pratica che si sta diffondendo («sotto le bandiere gialle di coloro che si fanno paladini della difesa del consumatori») e sottolineando «il rischio di destrutturazione dell’intero comparto pesca regionale, che invece ha bisogno di garantire elevati standard di sicurezza alimentare e una filiera organizzata dalla pesca alla distribuzione alimentare».
In una nota Confcooperative precisa che la normativa consentirebbe di vendere direttamente in barca fino a 100 chili di pesce senza essere sottoposti a nessun controllo, anche bypassando il sistema dei mercati ittici e le loro certificazioni sanitarie.
Ma sono solamente i mercati ittici che hanno ottenuto il bollo CE sulla sicurezza alimentare, tanto da essere sottoposti a controlli giornalieri per la verifica del rispetto delle norme sanitarie.
«Questo sistema – evidenzia ancora con forza Regeni – è una garanzia per il consumatore, anche se per i soci è un aumento dei costi. La deregulation crea invece una disparità tra chi è sottoposto a controlli e chi vende in barca, con un evidente danno per i primi, che si fanno carico di un impegnativo e costoso sistema di controlli a favore dei consumatori. Il rischio – conclude – è che chi sostiene questa deregulation porti alla disgregazione della pesca organizzata, non facendo alla fine né il bene del settore né quello del consumatore».
Il Messaggero Veneto – 16 maggio 2014