Vendita prodotti oltre “da consumarsi preferibilmente entro”: presto boom negli Stati Uniti?
Dopo le segnalazioni di casi come quello della Grecia, che si è dotata di una policy commerciale per regolare le vendite di prodotti ancora edibili ma a “termine minimo di conservazione” (TMC) passato- o siti on line per la vendita- vedi i siti “Food Bargains” o “Approved Foods”, un nuovo spunto arriva dal prestigioso settimanale Usa TIME.
Se negli USA è assai attivo il movimento dei Freegans –coloro che , come scelta di vita, recuperano cibo nella spazzatura in una logica anti-consumismo e più in genere, del “go green”- trasformando il pattume in risorsa- in Europa sembra che la strada per il recupero del cibo edibile assume altre forme. Meno “anti-sistema” se si vuole e incentrata sul concetto di “frugal foods”. E del recupero consapevole, gestito (vedi il caso dei Last Minute Market italiani, o ancora, delle vendite greche). Ma ora anche negli USA, come segnala la giornalista Samantha Grossman, (@sam_grossman) si stanno attrezzando. L’anno prossimo dovrebbe essere lanciato il progetto “Daily Table”, nei quartieri popolari (della cosiddetta “working class”) di Boston, dal retailer Trader Joe’s.
L’idea è di ri-confenzionare cibo che ha passato il termine minimo di conservazione e venderlo a prezzi scontati.
Certo in tempi di crisi economica, interventi di questo tipo sono di fatto unwelfare parallelo dei privati, e le autorità chiudono un occhio, o appoggiano questa insperata “sussidiarietà”.
Euforia irrazionale e bolle
Per certi versi quanto accade è simile alla corsa dei mutui subprime fino al 2008, quando con i bassi tassi del denaro, la FED promuoveva una politica re-distributiva indiretta, rendendo più agevole per le banche concedere prestiti senza di fatto nessuna selezione sui criteri minimi di solvibilità dei mutuatari ( e senza dover alzare le tasse per finanziare tali interventi, quindi una policy a costo zero). Si sa poi le cose come sono andate a finire, in un eccesso di liquidità, intermediazione ed “euforia irrazionale”, con la crisi economica peggiore dal ’29 a questa parte.
Cibi “subprime”?
In questo caso, il boccone può essere altrettanto avvelenato. E non si conoscono bene gli effetti a lungo termine, una volta che il format distributivo del “cibo passato” venga “normalizzato”, e magari esteso su larga scala da altri distributori. Effetti non solo e non tanto di sicurezza alimentare, ma più nello specifico nutrizionale (alimenti con TMC passato non sembrano garantire le proprietà nutrizionali, con rischi di carenze nutritive per gruppi della popolazione quali donne, bambini, anziani). Anche in questo caso, come già avvenuto per l’Horsegate, il rischio è costituito da “junk food”, che come i “junk bond”, sono costituiti da una lunga lista degli elementi costitutivi (ingredienti) non rintracciabile, opaca, che non rivela il valore reale del prodotto a chi lo acquista. Le lasagne della Findus o il TescoBurger ce lo ricordano.
Inoltre, una volta stabilito un format con una proprio modello produttivo, il rischio è rincorrere aziende e filiere di forniture “adeguate” ai costi (necessariamente al ribasso). Se crisi alimentari accadono già ordinariamente nella GDO né discount né illegale, ma dei maggiori retailer globali (vedasi Horsegate e Porkgate), l’incentivo posto da prezzi di saldo perché nuove frodi o problematiche emergano, è forte.
I dubbi insomma sono non tanto sulla necessità di lottare contro lo spreco alimentare (al 40% negli USA e su cifre simili in Europa, almeno per determinate categorie alimentari): quanto sulle conseguenze e sulla corsa al ribasso che tali format distributivi-di questo stiamo parlando- possono avere. Con una filiera alimentare UE già sotto pressione, e con costi elevati scaricati sui fornitori, e agricoltori, si creano i presupposti e si accende la miccia per nuovi scandali alimentari? E’ presto per dirlo, ma –come si dice- il buongiorno si vede dal mattino.
Sicurezza Alimentare Coldiretti – 28 settembre 2013