Metà casi risolti in conciliazione. Viafora (Cgil): «Timori confermati» Porto e Colamarco (Cisl e Uil): «Nessun aumento e cause più veloci»
PADOVA — Quasi 800 domande di conciliazione, ovvero lavoratori lasciati a casa, dal 18 luglio, giorno dell’entrata in vigore della riforma Fornero, a fine anno. Dei licenziamenti trattati poco più della metà ha avuto un esito positivo, con accordo raggiunto fra le parti e risarcimento per il lavoratore licenziato. Numeri che dividono i sindacati: la Cgil sente la nostalgia del «vecchio» articolo 18, Cisl e Uil si dicono soddisfatti del risultato raggiunto.
Stiamo parlando dei licenziamenti individuali per «motivi economici» delle aziende venete con almeno 15 dipendenti. Ovvero una delle novità previste dalla riforma Fornero: se prima la conciliazione era facoltativa, e spesso si andava direttamente dal giudice, ora il passaggio conciliatorio è obbligato.
Alla Direzione regionale del lavoro, che ha fornito i dati in questione, ogni datore di lavoro che licenzia per motivi economici deve rivolgersi per chiedere una conciliazione. Va detto subito che un confronto con la situazione precedente è pressoché impossibile, visto il cambiamento di normativa.
Ma ecco i dati: in sei mesi nel Veneto sono state 796 le richieste di conciliazione, equivalenti ad altrettanti licenziamenti. Di queste già 694 sono state trattate e 353 hanno avuto esito positivo, con un accordo trovato, per una percentuale che supera di poco il 50%. Della restante metà 157 hanno visto una fumata nera, 184 sono saltate per altri motivi, quali assenza delle parti o inammissibilità della richiesta: in caso di non accordo si andrà dal giudice.
La maggior parte dei licenziamenti riguarda l’industria (369), mentre a livello territoriale Verona guida la classifica con 178 richieste, seguita da Padova (173), Treviso e Venezia (175).
Per dare un dettaglio, si possono analizzare i primi 76 casi trattati dalla Direzione provinciale del lavoro di Treviso: la metà ha avuto buon esito, con 2 ricollocazioni (previste dalla legge per «manifesta insussistenza» delle cause del licenziamento, erano poche anche prima della riforma Fornero per i licenziamenti «economici») e 36 risarcimenti, equivalenti a 652mila euro destinati ai lavoratori.
Ma il cambiamento dell’articolo 18 ha quindi influito o meno sulla situazione? La domanda divide, come fu ai tempi dell’iter della riforma Fornero, i sindacati: la Cgil attacca, Cisl e Uil difendono. «Il dato dimostra come i datori di lavoro ritengano di avere meno responsabilità nei confronti dei propri dipendenti – spiega Emilio Viafora, segretario Cgil -. I timori che avevamo sulla modifica dell’art.18 erano fondati, è diventato più facile licenziare. La battaglia che facemmo ai tempi dell’approvazione della riforma Fornero era giusta, ancor di più alla luce di queste risultanze».
Franca Porto, segretaria della Cisl, rovescia il ragionamento. «Non c’è nessun incremento – afferma – anzi c’è maggiore semplicità per risolvere i problemi, l’iter legale è molto più veloce e c’è maggiore facilità nell’ottenere il risarcimento. Non è mai bello parlare di licenziamenti, sia chiaro: ma ci sono tempi più veloci e migliori risultati per i lavoratori, tanto è vero che gli stessi industriali, ovvero chi sta dall’altra parte, non sono contenti della riforma».
Anche Gerardo Colamarco, guida della Uil regionale, tiene il punto. «La nuova situazione è positiva, abbrevia la risoluzione dei conflitti – ricorda – Noi seguiamo contenziosi che durano anche da anni. Non sono le richieste di conciliazioni a spaventarci, ma i licenziamenti collettivi, il clima di crisi economica che porta le aziende al fallimento e i lavoratori a perdere il lavoro. E poi conciliare, contrattare, sedersi ad un tavolo fa parte del Dna di ogni sindacato».
27 gennaio 2013